Alcuni di voi - per esperienza diretta - si saranno accorti dell'esistenza di una strana paura: la paura della Grazia (nel senso di beatitudine).
Senz'altro ricordate di esservi misteriosamente ritrovati in uno stato di grazia caratterizzato da una leggerezza e una lucidità fuori dall'ordinario. In questo stato di grazia la percezione è stata leggermente riconfigurata, in modo quasi impercettibile. Il cervello ha registrato quel cambiamento percettivo e l'ha incasellato nella categoria degli eventi inspiegabili. Mentre quella beatitudine si espandeva, e mentre voi venivate contagiati da quella magica sensazione, avrete notato che una parte di voi si sentiva come intimorita o minacciata da ciò che stava accadendo dentro e fuori di voi. Sì perché quella beatitudine non era immaginaria ma reale, nel senso che influiva sulle reazioni del corpo, sul mondo esterno, sul rapporto con gli altri: contemporaneamente a quello stato di grazia si verificavano piccoli o grandi miracoli, fenomeni difficili da notare e impossibili da spiegare con la logica dell'uomo comune.
I più attenti ricorderanno anche la reazione immediata (o dilazionata nel tempo) della propria mente: paura di fondersi con quell'oceano di beatitudine.
Ovviamente la parte che ha tentato di sabotare tutto è sempre il famigerato ego, che nel nostro caso indica la vostra pseudo-identità abituale, ciò che credete di essere nella vita di tutti i giorni.
Nell'esempio della beatitudine, ciò che credevate erroneamente di essere aveva paura di ciò che stava scoprendo di essere.
Lo ripeto perché questa parte è fondamentale: ciò che credete di essere ha paura di ciò che siete davvero.
Il che è come dire che voi avete una paura fottuta di voi stessi.
Se questa notizia non sblocca un ricordo, non aziona un campanello d’allarme o se non vi lascia sbalorditi vuol dire che non avete la più pallida idea della portata di questo messaggio.
Per semplificare all’osso faccio un esempio banale: chi inizia una dieta o un periodo di digiuno si accorge che più il digiuno funziona, più si verificano meccanismi di autosabotaggio. La parte malsana o parassitaria, quella che ama mangiare cibo spazzatura, si farà sentire e tenterà di mettere i bastoni tra le ruote: vi farà fare uno sgarro dopo l’altro, quasi contro la vostra buona volontà. E mentre sgarrate vi accorgete che in voi c’è qualcosa che vuole fallire, non vuole davvero dimagrire, non vuole depurarsi, non vuole essere ciò che sta diventando (magro, snello, sportivo ).
Il malsano odia il sano, non lo vuole, lo teme perché comporta la sua dissoluzione.
Nell'esempio della Grazia, l’ego (l’io, la persona che credete di essere) ha paura dell’autorealizzazione perché potrebbe (e lo farà senza ombra di dubbio) destabilizzare l’identità abituale, intaccando la percezione di ciò che avete sempre creduto di essere. Se vi suona strano e assurdo è perché è davvero assurdo: è assurdo come ritrovarsi nei panni di una donna dopo aver creduto di essere un uomo per tutta la propria vita.
Per quanto crediate di volervi autorealizzare, o per quanto crediate di voler vivere in uno stato di grazia perenne, c’è una parte di voi che farà di tutto per impedire, posticipare, rallentare quell’evento.
Realizzare di non essere solo una persona, un essere umano, un ridicolo personaggio sociale, può turbare profondamente il ridicolo personaggio che credete di essere.
Percepire prematuramente gli effetti della beatitudine può essere destabilizzante proprio come la disintossicazione totale risulta inizialmente destabilizzante per un tossicodipendente. Se quell’individuo viene seguito per bene, o se in lui maturano alcune qualità, la fase destabilizzante può essere superata senza gravi ripercussioni.
Il mio consiglio è di non ignorare l'istinto del corpo: se non vi sentite pronti per la beatitudine vuol dire che non è giunto il momento giusto, oppure c’è ancora una piccola resistenza dovuta a qualche attaccamento (vizio, desiderio, capriccio, timore infondato, credenza, superstizione). Quel piccolo residuo psicoemotivo va tenuto in debita considerazione prima di voler conoscere o sperimentare la beatitudine. La falsa identità, se non è stata trascesa o almeno riconosciuta, rischia di scatenare un bordello insensato facendovi passare da uno stato di grazia a uno stato di terrore. Non potete far piacere la beatitudine all’ego, all'intelletto, al demone che vuole abitare quel corpo, perché quel nettare non è di suo gradimento come un medicinale non è gradito a un parassita.
Ora, indirettamente, sapete anche perché la maggioranza dell’umanità vive (ragiona, parla, reagisce) in quel modo.
A prova di questo discorso vi posso portare l’esempio di alcuni lettori che mi hanno espressamente fatto capire che non appena percepivano un briciolo di beatitudine iniziavano a sentirsi minacciati: da una parte erano attratti da quell’esperienza, dall’altro lato temevano di farsi risucchiare da quello stato di grazia.
Sapevano che era ciò che cercavano, ciò che avevano sempre desiderato, ciò che dava un senso alla loro insensata ricerca spirituale, però sapevano anche che quello stato di grazia avrebbe azzerato tutte le loro velleità mondane.
Ciò che temevano era la riconfigurazione della loro percezione e dissoluzione della loro identità.
Quando gli faccio fare qualche esercitazione per riconfigurare la loro percezione, si accorgono che sotto sotto li sto mettendo all’angolo, sto incastrando il loro ego, sto fottendo il loro intelletto. E il buffo è che quando si accorgono che qualcosa funziona si preoccupano, si agitano perché il loro ego si sente minacciato.
Uno che ha assaggiato qualche stato di grazia mi ha detto che se anche gli si offrisse nuovamente la grazia su un vassoio d’argento la rifiuterebbe perché si tratta di qualcosa di troppo stupendo e inspiegabile. Poi ha aggiunto: preferirei il dispiacere e il malessere a cui sono abituato piuttosto che avere quel flusso di beatitudine.
Se quella risposta vi sembra strana non avete capito di cosa stiamo parlando.
Quella reazione non è l’eccezione ma la norma; è la reazione della mente umana di fronte a un’esplosione di pace, quiete, spensieratezza.
Si tratta di qualcosa di spaventosamente magnifico per ciò a cui siamo abituati.
Che ci crediate o meno, ciò che credete erroneamente di essere non vuole la beatitudine.
Quella roba lì che chiamate “io” non vuole risolvere davvero i vostri problemi, non vuole disfarsi della sofferenza inutile, non vuole la pace (vostra o altrui), e ovviamente non vuole l’autorealizzazione.
I piccoli momenti di afflizione (disagio, tensione, nervosismo) sono ciò che sorreggono la vostra identità abituale, e senza quei momenti di tensione (ansia, agitazione, rabbia) rischiereste di non sentirvi più voi stessi.
Spero che lo stato di grazia vi consenta di dare il colpo di grazia a ciò che credete di essere.
(ZeRo)
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