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L'"intento" è la forza diffusa che ci mette in grado di percepire. Noi non acquistiamo consapevolezza perché percepiamo, bensì riusciamo a percepire in conseguenza dell'intrusione e del peso dell'"intento".
La magia è l'abilità di usare campi di energia non necessari per la percezione del mondo di tutti i giorni, che noi conosciamo. La magia è uno stato di consapevolezza. È l'abilità di concepire qualcosa che sfugge alla percezione ordinaria.
Don Juan affermò che per "vedere" si deve prima "fermare il mondo". Insomma, fermare il mondo era un'interpretazione corretta di alcuni stati di consapevolezza nei quali la realtà della vita quotidiana è alterata perché il flusso dell'interpretazione, che in genere scorre ininterrotto, è stato arrestato da un insieme di circostanze estranee a quel flusso. Nel mio caso, l'insieme di queste circostanze era la descrizione magica del mondo.
Don Juan mi diede allora la definizione tradizionale della Seconda Attenzione. Disse che i vecchi stregoni chiamavano Seconda Attenzione il risultato dell'operazione di fissare il punto di unione su nuove posizioni, e che consideravano la Seconda Attenzione un'area di attività completa, proprio come l'Attenzione del mondo quotidiano.
«Il primo varco è una soglia che dobbiamo attraversare diventando consci di una particolare sensazione prima del sonno profondo» disse. «Una situazione simile a una piacevole pesantezza che ci impedisce di aprire gli occhi. Noi raggiungiamo quel varco nell'istante in cui diventiamo consci di stare per addormentarci, sospesi nel buio e nella pesantezza.»
«Per gli stregoni, vivere vuol dire avere coscienza. Significa possedere il punto di unione e il suo luminoso alone di consapevolezza, una condizione che indica agli stregoni come l'essere di fronte a loro, organico o inorganico, è completamente in grado di percepire. Per gli stregoni, percepire è la precondizione della vita.»
«I Sogni sono analizzati per il loro significato o sono considerati come presagi, ma non sono mai intesi come un mondo di reali accadimenti.»
Don Juan si dichiarava sbalordito perché, di tutte le cose meravigliose che gli antichi stregoni avevano appreso esplorando quelle migliaia di posizioni [del punto di unione], erano rimaste soltanto l'Arte del Sognare e l'Arte dell'Agguato. Ripeté più volte che l'Arte del Sognare tratta dello spostamento del punto di unione, e poi definì l'agguato come l'arte che si occupa della fissazione del punto di unione in qualsiasi posizione si sia spostato.
Disse che i vecchi stregoni avevano una fluidità favolosa. Bastava solo il più lieve spostamento del loro punto di unione, il minimo accenno percettivo ispirato dal Sognare, perché fossero subito in grado di tendere un agguato alla percezione, risistemare la loro coesione in modo da adattarla al nuovo stato di consapevolezza, ed essere un animale, un'altra persona, un volatile, o qualsiasi cosa.
Da quel giorno in poi, nonostante il mio timore e la riluttanza di don Juan a consigliarmi, diventai un assiduo viaggiatore di Sogno verso quel mondo spugnoso. Scoprii subito che più era grande la mia capacità di osservare i dettagli dei miei Sogni, più mi riusciva facile isolare gli esploratori. Se sceglievo di riconoscerli come energia aliena, essi rimanevano per un po' nel mio campo percettivo. Ora, se sceglievo di tramutarli in oggetti quasi conosciuti, restavano ancora più a lungo, cambiando forma in modo strano; però se li seguivo, dichiarando ad alta voce il mio intento di andare con loro, gli esploratori portavano davvero la mia Attenzione in un mondo al di là di ciò che posso immaginare normalmente.
«La consapevolezza degli stregoni cresce quando Sognano» proseguì. «E nel momento in cui cresce, qualcosa là fuori ne riconosce la crescita e fa un'offerta d'acquisto. Gli esseri inorganici sono i possibili acquirenti di quella nuova, accresciuta consapevolezza. I Sognatori devono stare sempre con gli occhi aperti. Diventano prede non appena si avventurano in quell'universo tanto predatorio.»
«Il terzo varco del Sognare lo raggiungi quando ti trovi in un Sogno a fissare qualcun altro che sta dormendo. E salta fuori che quel qualcun altro sei tu» disse don Juan.
Don Juan mi aveva dato istruzioni molto dettagliate ed esplicite sulla ricapitolazione, che consisteva nel rivivere in toto le esperienze della propria vita ricordandone ogni più piccolo particolare possibile. Egli considerava la ricapitolazione come il fattore essenziale nella ridefinizione e nel reimpiego dell'energia. «La ricapitolazione libera l'energia imprigionata dentro di noi, e senza questa energia liberata il Sognare non è possibile.» Questa era la sua dichiarazione.
[Lo Sfidante della Morte] Riferì che gli stregoni del suo lignaggio erano soliti iniziare fissando un oggetto semplice e memorizzandone ogni dettaglio. Poi chiudevano gli occhi e visualizzavano l'oggetto, correggendo queste visualizzazioni confrontandole con l'oggetto reale, fino a quando riuscivano a vederlo, nella sua interezza, a occhi chiusi.
Nel loro schema di sviluppo il passo seguente era Sognare con l'oggetto e creare nel Sogno una materializzazione totale di questo oggetto, dal punto di vista della loro percezione. Questo passo, disse la donna, era chiamato "il primo passo verso la percezione totale".
Da un oggetto semplice quegli stregoni passavano ad altri sempre più complessi. Il loro scopo ultimo era visualizzare, tutti insieme, un mondo totale, poi Sognare quel mondo e ricreare così un regno totalmente genuino dove loro potessero esistere.
Ero ancora più che atterrito, ma se mi avessero chiesto di descrivere che cosa mi terrorizzava non avrei saputo dirlo. Non avevo certo paura di trovarmi con lo Sfidante della Morte in un altro Sogno o di perdere la testa o perfino la vita. Avevo forse paura del Male? Me lo chiesi. Ma il pensiero del Male non avrebbe resistito a un esame: come risultato di tutti gli anni trascorsi sulla via della stregoneria, sapevo senza ombra di dubbio che nel cosmo esiste solo l'energia; il Male è una mera considerazione della mente umana, sconvolta dalla fissazione del punto di unione nella sua posizione abituale. Logicamente, non avevo in fondo nessun motivo di aver paura. Lo sapevo, ma sapevo anche che la mia reale debolezza era la mancanza di fluidità per fissare all'istante il mio punto di unione in qualsiasi posizione in cui era stato spostato. Il contatto con lo Sfidante della Morte stava spostando il mio a un ritmo tremendo, e io non avevo il coraggio di continuare a spingere. Il risultato finale era una vaga pseudo-sensazione di paura di non riuscire a svegliarmi.
Don Juan mise bene in evidenza, più di una volta, che tutto ciò che mi andava insegnando era stato previsto ed elaborato da coloro che chiamava gli stregoni dell'antico. Mi spiegò molto chiaramente che esisteva una profonda differenza fra quegli stregoni e questi dei tempi moderni.
Don Juan mi spiegò che ogni gesto degli stregoni, specie dei nagual, era effettuato o per rafforzare il loro legame con l'intento o per rispondere a una provocazione del legame stesso. Gli stregoni, e i nagual in modo particolare, dovevano perciò essere sempre attivamente attenti alle manifestazioni dello spirito. Tali manifestazioni erano chiamati gesti dello spirito o, in modo più semplice, indicazioni, presagi.
Don Juan ripeté che il punto cruciale della nostra difficoltà nel tornare all'astratto era il rifiuto di accettare il concetto di una conoscenza senza parole e persino senza pensieri.
«Il secondo nocciolo astratto delle storie di stregoneria si chiama il tocco dello spirito» disse. «Il primo nocciolo, le manifestazioni dello spirito, è l'edificio che l'intento costruisce e pone dinanzi a uno stregone, invitandolo poi a entrare. È l'edificio dell'intento visto dallo stregone. Il tocco dello spirito è lo stesso edificio visto da un principiante che è stato invitato o piuttosto, costretto a entrare.»
Diceva [don Juan] che l'agguato era l'inizio di tutto, e che prima di tentare qualsiasi cosa sulla via del guerriero, i guerrieri dovevano apprendere quell'arte e, dopo, l'arte dell'intento. Solo allora avrebbero potuto muovere a volontà il punto di unione.
«Il primo principio in assoluto dell'arte dell'agguato è che il guerriero ponga l'agguato a se stesso, e lo faccia spietatamente, con astuzia, pazienza e dolcezza.»
Avrei voluto mettermi a ridere, ma [don Juan] non me ne lasciò il tempo. Con toni succinti, definì l'agguato come l'arte di usare il comportamento in nuovi modi per scopi specifici. Disse che il normale comportamento umano nel mondo della vita di ogni giorno era pura routine. Ogni comportamento che si distaccava dalla routine provocava un effetto insolito sul nostro essere totale. Quell'effetto insolito era quello che cercavano gli stregoni, poiché era cumulativo.
«... Ci sono molti modi di tendere agguati a se stesso. Se non vuoi usare l'idea della tua morte, usa le poesie che mi hai letto.»
«Certo che insisto perché chi mi sta intorno pensi con chiarezza» disse. «E spiego, a chiunque voglia ascoltarmi, che l'unico modo di pensare con chiarezza è non pensare affatto. Ero convinto che tu avessi capito questa contraddizione degli stregoni.»
«Il luogo della non pietà è il centro della spietatezza. Ma questo tu lo sai. Ora però fintanto che non ti torna in mente, diciamo che la spietatezza, essendo una posizione specifica del punto di unione, si vede negli occhi degli stregoni. È come un velo scintillante che li ricopre. Gli occhi degli stregoni brillano, e più sono lucenti più spietato è lo stregone. In questo momento i tuoi occhi sono opachi.»
Don Juan descrisse la presunzione come la forza generata dall'immagine di sé dell'uomo. Ripeté più volte che è quella forza a tenere fissato il punto di unione nella posizione attuale. Per questo motivo la missione unica di chi si comporta da guerriero è detronizzare la presunzione. E ogni azione degli sciamani è tesa a conseguire questo scopo.
Quando gli chiesi di parlarmi della conoscenza silenziosa più in dettaglio, mi rispose subito che la conoscenza silenziosa era una posizione generale del punto di unione, che secoli prima era stata la posizione normale; poi, per ragioni che sarebbe stato impossibile determinare, il punto di unione dell'uomo s'era spostato da quella collocazione specifica adottandone una nuova chiamata "ragione".
Gli chiesi di spiegarmi di nuovo cosa fosse l'intento inflessibile. Mi disse [don Juan] che era una specie di facoltà di perseguire un unico scopo che hanno gli esseri umani; un'intenzione puntigliosamente ben definita e non revocata da contrastanti interessi o desideri; l'intento inflessibile era anche la forza che si generava quando il punto di unione era mantenuto fisso in una posizione diversa dalla solita.
Il vecchio nagual [Elías] spiegò che la posizione della conoscenza silenziosa si chiamava terzo punto perché, per arrivarci, si doveva passare dal secondo punto, il luogo della non pietà.
«Nell'arte dell'agguato» proseguì don Juan «c'è una tecnica molto usata dagli stregoni: la follia controllata. Essi affermano che la follia controllata è l'unico modo che hanno per trattare con se stessi nel loro stato di accentuata consapevolezza e percezione e con qualunque persona o cosa nel mondo della quotidianità.»
E [don Juan] capì, da solo, che il luogo della non pietà era una posizione del punto di unione, una posizione che rendeva inoperante l'autocommiserazione.
Don Juan soleva raccontarmi, quando erano pertinenti, brevi aneddoti sugli stregoni della sua famiglia, specie a proposito del suo maestro, il nagual Julian. Non erano racconti veri e propri, ma descrizioni di comportamento di quegli stregoni e degli aspetti della loro personalità, ognuna intesa a chiarire un argomento specifico nel mio apprendistato.
Non sono mai riuscito a trarre delle conclusioni circa lo sciamanismo perché per farlo bisogna essere membri attivi nel mondo degli sciamani. Per uno scienziato sociale, diciamo per esempio un sociologo, è molto semplice arrivare a conclusioni sociologiche riguardo qualsiasi soggetto relazionato con il mondo occidentale, perché il sociologo è un membro attivo del mondo occidentale. Ma come può un antropologo, che passa al massimo due anni studiando altre culture, arrivare a conclusioni sicure a quel riguardo? Ci vuole una vita per poter acquisire l'appartenenza ad un mondo culturale. Io ho lavorato per più di trent'anni nel mondo cognitivo degli sciamani dell'antico Messico e, sinceramente, non credo che ciò mi permetterebbe di trarre delle conclusioni o addirittura di proporle.
Noi abbiamo l'incessante abitudine di usare fotografie, registrazioni e dati personali, ognuno dei quali nasce dall'idea di importanza personale. Don Juan diceva che è meglio non sapere nulla di uno sciamano; in questo modo invece di incontrare una persona, si incontra un'idea che può essere sostenuta; l'opposto di ciò che succede nel mondo quotidiano dove abbiamo di fronte solo persone che hanno numerosi problemi psicologici ma non idee, tutte queste persone piene fino all'orlo di "io, io, io".
Per don Juan Matus, uno sciamano pragmatico ed estremamente sobrio, "spiritualità" era un'idealità vuota, un'asserzione senza basi che noi crediamo essere molto bella perché è rivestita di concetti letterari ed espressioni poetiche, ma che non va mai oltre quello.
Gli sciamani come don Juan sono essenzialmente pratici. Per loro esiste solo un universo predatorio in cui intelligenza o consapevolezza sono il prodotto di sfide di vita o di morte. Egli si considerava un navigatore dell'infinito e diceva che per navigare nell'ignoto, come fa uno sciamano, si ha bisogno di pragmatismo illimitato, sconfinata sobrietà e fegato d'acciaio.
La decisione di proseguire su quella strada o di abbandonarla deve essere presa indipendentemente dalla paura o dall'ambizione. Ti avverto: osserva la strada da vicino e senza fretta, provala tutte le volte che lo ritieni necessario e poi rivolgi a te stesso, e a nessun altro, questa domanda: Questa strada ha un cuore? Le strade sono tutte uguali: non portano da nessuna parte. Alcune attraversano la boscaglia e altre vi si addentrano. Posso dire di aver percorso strade molto lunghe nella mia vita, ma non sono mai arrivato da nessuna parte. Questa strada ha un cuore? Se ce l'ha, è la strada giusta; se non ce l'ha, è inutile. Nessuna delle due porterà da qualche parte, ma una ha un cuore, l'altra non ce l'ha. Una rende il viaggio felice, e finché la seguirai sarete una cosa sola. L'altra ti farà maledire la vita. Una ti fa sentire forte, l'altra ti indebolisce.
Don Juan voleva che lavorassi il più possibile con l'erba del diavolo, malgrado l'antipatia che diceva di provare per il suo potere. Spiegò questa contraddizione dicendo che era prossimo il momento in cui avrei dovuto fumarla di nuovo, e prima di allora era necessario approfondire la conoscenza del suo potere.
Gli appunti della mia prima seduta con don Juan risalgono al 23 giugno 1961. Fu allora che iniziò a impartirmi i suoi insegnamenti. Prima l'avevo incontrato in diverse occasioni, ma solo come osservatore, e ogni volta gli avevo chiesto di insegnarmi tutto quello che sapeva sul peyote. Pur ignorando la mia richiesta, don Juan non abbandonò mai del tutto l'argomento, così pensai che, sebbene fosse riluttante, avrebbe finito col parlarne se avessi insistito.
Don Juan allora disse che negli inventari strategici dei guerrieri, l'importanza personale figura come l'attività che consuma la maggior quantità di energia e per questo si sforzavano di vincerla.
«Una delle prime preoccupazioni del guerriero è liberare quell'energia per affrontare con essa l'ignoto» proseguì don Juan. «L'azione di ricanalizzare quell'energia è l'impeccabilità.»
«L'ignoto è eternamente presente,» proseguì [don Juan] «ma rimane fuori dalla nostra normale portata. L'ignoto è la parte superflua dell'uomo comune. Ed è superflua perché l'uomo comune non ha abbastanza energia libera per comprenderla.»
Cominciò subito la sua spiegazione. Delineò brevemente le verità sulla consapevolezza che avevamo già discusso. Che non esiste un mondo di oggetti ma solo un universo di campi energetici che i veggenti chiamano le "emanazioni dell'Aquila" e che ognuno di noi è avvolto in un bozzolo che racchiude una minuscola porzione di quelle emanazioni. Che la consapevolezza è il prodotto della costante pressione esercitata dalle emanazioni esterne, chiamate "emanazioni in grande", sulle emanazioni interne. Che la consapevolezza dà luogo alla percezione, quando le emanazioni interne si allineano con le corrispondenti emanazioni in grande.
«La quinta verità» proseguì [don Juan] «è che la percezione è canalizzata perché in ognuno di noi c'è un fattore chiamato "punto di unione" che sceglie emanazioni interne ed esterne per allinearle. Il determinato allineamento che percepiamo come mondo è il prodotto di quella parte specifica del nostro bozzolo dov'è localizzato il punto di unione.»
Don Juan tacque e si fermò. Si appoggiò contro una colonna del patio e cominciò a parlare dell'agguato. Disse che ebbe origini molto umili e casuali. Iniziò da una osservazione fatta dai nuovi veggenti: quando i guerrieri si comportano in modi insoliti, in forma sistematica e continua, le emanazioni interne, che d'ordinario non si usano mai, cominciano a risplendere. E i punti di unione si muovono in una maniera lenta, armoniosa, appena notabile.
Stimolati da questa asserzione, i nuovi veggenti cominciarono a praticare il controllo sistematico del loro comportamento. Chiamarono questa pratica l'arte dell'agguato [stalking nel testo originale]. Don Juan fece notare quanto fosse giusto usare un termine negativo; infatti tendere un agguato implicava un particolare tipo di comportamento che si sarebbe potuto classificare come clandestino o furtivo.
In principio si riferivano a queste tecniche come la padronanza dell'allineamento. Dopo si resero conto che si trattava di molto di più dell'allineamento, si trattava dell'energia derivante dall'allineamento delle emanazioni. Chiamarono questa energia "volontà".
[Don Juan] Disse che l'aspetto dell'allineamento che mantiene stazionario il punto di unione è la volontà e l'aspetto che lo fa muovere è l'intento.
[Don Juan] Disse che i guerrieri non devono mai cercare di vedere senza l'aiuto del sogno. Io sostenni che dormire in pubblico non era il mio forte. Lui mi spiegò ulteriormente che spostare il punto di unione dalla sua posizione naturale e mantenerlo fisso in un nuovo posto equivale all'essere addormentati; con la pratica, i veggenti imparano ad addormentarsi e tuttavia si comportano come se non stesse accadendo nulla.
«Ti avventureresti nell'ignoto per avidità? Proprio per niente. L'avidità funziona solo nel mondo della vita quotidiana. Per avventurarsi in quella spaventosa solitudine occorre avere qualcosa in più dell'avidità. L'amore, occorre l'amore per la vita, gli intrighi, il mistero. Occorre una insaziabile curiosità e un coraggio immenso.»
Poi sentii la voce di don Juan dirmi all'orecchio: «Oh, sei qui!» come se mi stesse incontrando in quel momento. Ero seduto con lui sulla panchina del parco. Però sentivo anche la voce della giovane donna. Mi disse: «Vieni a sederti vicino a me». Feci proprio così e cominciai la più incredibile storia di cambiamenti di punti di vista. Stavo alternativamente con don Juan e con quella ragazza. Vedevo tutti e due con la massima chiarezza.
[Don Juan] Disse che infrangere la barriera della percezione è il massimo di tutto quel che fanno i guerrieri. Dal momento in cui la barriera è infranta, l'uomo e il suo destino acquistano un diverso significato. Per la trascendentale importanza di infrangere quella barriera, i nuovi veggenti usano l'atto di infrangerla come prova finale. La prova consiste nel saltare dalla vetta di una montagna in un precipizio, stando nella consapevolezza normale. Se il guerriero che salta nell'abisso non cancella il mondo quotidiano e non ne allinea un altro prima di toccare il fondo, morirà.
Avevo trascorso la notte nella città di Oaxaca, nel Messico meridionale, diretto ai monti di Ixtlàn in cerca di don Juan. Uscendo dalla città con la macchina, alle prime ore del mattino, ebbi la bella idea di passare dalla piazza principale e lì lo trovai, seduto sulla sua panchina preferita come se stesse aspettando che io passassi.
«Vedi» proseguì «abbiamo solo due alternative; o riteniamo che sia tutto certo e reale, oppure no. Se seguiamo la prima ipotesi, arriviamo alla morte annoiati di noi stessi e del mondo. Se seguiamo la seconda e cancelliamo la storia personale, creiamo una nebbia intorno a noi, una situazione molto eccitante e misteriosa, nella quale nessuno sa dove balzerà fuori il coniglio, nemmeno noi stessi.» (Don Juan)
«Un cacciatore sa che attirerà sempre la preda nelle sue trappole, perciò non si preoccupa.
Preoccuparsi significa diventare accessibile, inconsapevolmente accessibile. E quando ti preoccupi, ti aggrappi a qualsiasi cosa per la disperazione; e quando ti aggrappi, sei destinato a esaurirti o a esaurire coloro ai quali ti stai aggrappando.» (Don Juan)
«Un cacciatore non deve solo conoscere le abitudini della preda, deve anche sapere che ci sono poteri su questa Terra che guidano gli uomini, gli animali e tutti gli esseri viventi.» (Don Juan)
«... Un guerriero è un cacciatore immacolato che va a caccia di potere.» (Don Juan)
«Il potere è qualcosa di cui si occupa un guerriero» disse. «Dapprima è una questione incredibile, inverosimile; è difficile persino pensarci, Questo è quello che ti sta succedendo. Poi il potere diventa una faccenda seria; si può non averlo, oppure si può persino non rendersi pienamente conto della sua esistenza, eppure si sa che c'è qualcosa che prima non si notava. In seguito il potere si manifesta come qualcosa di incontrollabile che ci arriva addosso. Non posso dire come arriva o cos'è veramente. Non è niente, eppure fa apparire meraviglie davanti ai tuoi occhi. Infine il potere è qualcosa in se stesso, che controlla le nostre azioni eppure obbedisce ai nostri comandi.» (Don Juan)
«...La notte passata, per esempio, il potere ti avrebbe spinto ad attraversare il ponte e poi sarebbe stato al tuo comando per sostenerti mentre lo attraversavi. Ti ho fermato perché sapevo che non hai i mezzi per usare il potere, e senza potere il ponte sarebbe crollato.»
«Lo hai visto anche tu il ponte, don Juan?»
«No, io ho visto solo il potere. Avrebbe potuto essere qualsiasi cosa. Il potere per te questa volta era un ponte, non so perché. Noi siamo creature molto misteriose.»
«La caccia al potere è una faccenda molto strana» disse. «Non si può pianificare in anticipo. E questa è la cosa eccitante. Comunque un guerriero procede come se avesse un piano, perché crede nel suo potere personale. Sa per certo che il il potere lo farà agire nel modo più appropriato.» (Don Juan)
«... Il segreto non sta in quello che si fa a noi stessi, ma in quello che non si fa.» (Don Juan)
«Il trucco sta in ciò a cui si dà importanza» disse. «O ci rendiamo infelici o ci rendiamo forti. La quantità di fatica è la stessa.» (Don Juan)
Si alzò in piedi, collocò il sassolino su un masso e poi mi chiese di avvicinarmi e di esaminarlo. Mi disse di osservarne i buchi e le depressioni e di individuarne tutti i minimi dettagli. Spiegò che se avessi individuato i particolari, i buchi e le depressioni sarebbero sparite e io avrei capito che cosa significava non-fare. (2016)
«Diciamo che si possono sentire. La parte più difficile della strada percorsa da un guerriero è capire che il mondo è una sensazione, Quando uno non-fa, sente il mondo, e lo sente attraverso le sue linee.» (Don Juan)
«Non è questione di capire, ma di esercitarsi. Vedere, naturalmente, è il risultato finale per un uomo di sapere, e la vista si ottiene solo dopo aver fermato il mondo attraverso la tecnica del non-fare.» (Don Juan)
«Le ombre sono come le porte, le porte del non-fare. Un uomo di sapere, per esempio, può descriverti i sentimenti più reconditi degli uomini osservando le loro ombre.» (Don Juan)
Durante la mia ultima visita don Genaro aveva tentato di portarmi al punto di fermare il mondo. I suoi sforzi erano stati così bizzarri e diretti che lo stesso don Juan aveva dovuto dirmi di andarmene via. Le dimostrazioni di «potere» di don Genaro erano state così straordinarie e sconcertanti da obbligarmi a una totale riconsiderazione di me stesso. Ero tornato a casa, avevo risolto gli appunti che avevo preso all'inizio dell'apprendistato e una sensazione completamente nuova si era insediata dentro di me, ma non ne fui perfettamente consapevole finché non vidi don Genaro nuotare sul pavimento.
«Mi rendo conto che lei conosce molto bene queste piante, signore» dissi al vecchio indiano che stava di fronte a me.
Un mio amico ci aveva appena fatto incontrare e poi aveva lasciato la stanza e noi stavamo facendo le presentazioni. Il vecchio mi aveva detto che il suo nome era Juan Matus.
«L'uomo comune cerca certezza negli occhi di chi ha di fronte, e chiama questo fiducia in sè. Il guerriero cerca di essere senza macchia ai propri occhi, e chiama questo umiltà». (Don Juan)
La tecnica del "sognare" di don Juan era un esercizio consistente nel ritrovare le proprie mani in un sogno. In altre parole, uno doveva deliberatamente sognare ciò che si proponeva, e ritrovare le proprie mani nel sogno semplicemente sognando di sollevare le mani al livello degli occhi.
«Ogni volta che il dialogo interno si interrompe, il mondo sprofonda e affiorano straordinarie sfaccettature di noi, come se fossero state fino a quel momento tenute nascoste dalle nostre parole. Voi siete così come siete poiché vi dite che siete appunto così.» (Don Juan)
«Noi, gli esseri luminosi, siamo nati con due anelli di potere, ma ne usiamo solo uno per creare il mondo. Quell'anello che ci è stato infilato, subito dopo la nascita, è la ragione e si accompagna al parlare.
Tutt'e due insieme elaborano e conservano il mondo.
Dunque, in sostanza, il mondo che la vostra ragione vuole mantenere è il mondo creato da una descrizione e dalle sue leggi dogmatiche e inviolabili, che la ragione impara ad accettare e difendere.
Il segreto degli esseri luminosi è che essi possiedono un secondo anello di potere, mai usato, la volontà.» (Don Juan)
Don Juan aveva ragione. Dover credere che il mondo sia misterioso e insondabile era l'espressione della più intima predilezione di un guerriero. Senza di ciò, egli non aveva nulla.
Dissi a don Juan che provavo certe sensazioni inesplicabili. Questo parve destare la sua curiosità. Gli raccontai che già prima avevo provato quelle sensazioni: sembravano momentanee lacune, interruzioni nel corso della mia consapevolezza. Si erano sempre manifestate con una scossa che percepivo nel corpo, seguita dalla sensazione di essere sospeso in qualcosa.
«Vedere è proprio così. Si asserisce qualcosa con grande sicurezza, e non si sa com'è successo.» (Don Juan)
Don Juan insistette di nuovo perché osservassi ogni cosa. Gli dissi che non c'era nulla che avessi voglia di osservare; che non mi importava quel che la gente stava facendo nel mercato, e che non intendevo stare a guardare con obbedienza come un idiota dei tizi che comperavano monete e libri usati, mentre la cosa reale mi sfuggiva tra le dita.
«Che cos'è la cosa reale?» mi chiese.
Mi fermai e quasi gli gridai che la cosa reale, la cosa importante, era un'altra: come aveva fatto, lui, a
procurarmi la sensazione d'aver percorso in un secondo la distanza fra l'ufficio della compagnia aerea e il mercato?
«Ogni minaccia contro il tonal conduce sempre alla sua morte. E se il tonal muore, muore tutto l'uomo. Per la sua intrinseca debolezza il tonal è facilmente distrutto; una delle arti equilibratrici del guerriero consiste, quindi, nel far affiorare il nagual in modo che sostenga il tonal. È un arte, dico, perché gli stregoni sanno che solo sovralimentando il tonal il nagual può affiorare. Capite cosa intendo? Questa sovralimentazione si chiama potere personale.» (Don Juan)
Mi spiegò poi che per favorire la cancellazione della storia personale venivano insegnate tre altre tecniche: perdere presunzione, assumere responsabilità, usare la morte come consigliera.
Spiegò che l'interruzione delle abitudini, l'andatura del potere e il non-fare erano vie per imparare nuovi modi di percepire il mondo, e fornivano al guerriero un indizio di incredibili possibilità di azioni. Secondo don Juan la conoscenza di un mondo separato e pratico del "sognare" era resa possibile dall'uso di quelle tre tecniche.
«L'operazione delicata di guidare un essere luminoso alla totalità di se stesso esige che l'insegnante agisca dall'interno della bolla e il benefattore dall'esterno. L'insegnante riordina l'immagine del mondo. Ho chiamato questa immagine l'isola del tonal. Vi ho detto che tutto ciò che noi siamo si trova sull'isola. La spiegazione degli stregoni afferma che l'isola del tonal è creata dalla nostra percezione, che è stata allenata a concentrarsi su alcuni elementi, ciascuno di quegli elementi, e quegli elementi tutti insieme, formano la nostra immagine del mondo. Il compito dell'insegnante, per quanto riguarda la percezione dell'apprendista, consiste nel riordinare tutti gli elementi dell'isola in una metà della bolla. Ora dovete aver capito che ripulire e riordinare l'isola del tonal significa raggruppare tutti i suoi elementi sul lato della ragione. Il mio lavoro mirava a scomporre la vostra immagine consueta: non a distruggerla, ma a costringerla a raccogliersi tutta sul lato della ragione. L'avete fatto meglio di chiunque altro io conosca.» (Don Juan)
«Possiamo spiegare meglio tutto ciò, dicendo che il compito dell'insegnante consiste nel ripulire una metà della bolla e nel riordinare ogni cosa entro l'altra metà. Il compito del benefattore sarà allora di aprire la bolla dalla parte che è stata ripulita. Una volta rotto l'involucro, il guerriero non sarà più lo stesso. Ha lui ora il comando della sua totalità. Metà della bolla è il centro ultimo della ragione, il tonal. L'altra metà è il centro ultimo della volontà, il nagual. Questo è l'ordine che deve prevalere; ogni altra sistemazione è assurda e futile, poiché va contro la nostra natura; ci deruba del nostro retaggio magico e ci riduce a nulla.» (Don Juan)
Don Juan e don Gennaro vennero ai miei fianchi, si accovacciarono vicino a me e presero a sussurrarmi alle orecchie. Ciascuno di loro due diceva cose diverse, ma non avevo difficoltà a seguire i loro ordini. Mi parve d'essere "diviso" dall'istante stesso in cui pronunciarono le prime parole. Sentii che mi facevano quello che già avevano fatto a Pablito. Don Gennaro mi fece roteare, poi ebbi per un attimo la sensazione perfettamente cosciente di girare o fluttuare per l'aria.
Nell'autunno del 1971, dopo essere stato via per parecchi mesi, mi sentii disposto a incontrare don
Juan. Ero pronto a spingermi fin nel Messico centrale per raggiungerlo. Convinto che l'avrei trovato in casa di don Genaro, feci i miei preparativi per un viaggio di sei o sette giorni. Partii, ma già nel pomeriggio del secondo giorno, d'istinto, mi fermai presso l'abitazione di don Juan a Sonora. Parcheggiai la macchina e feci a piedi i pochi passi che mi separavano dalla casa. Là, con mia sorpresa, lui c'era.
[Se ritenesse di essere stato in qualche modo ipnotizzato] Qualcosa del genere, forse. Ma come dice don Juan, dobbiamo cominciare col renderci conto che nel mondo c'è ben di più di quello che riconosciamo usualmente. Le nostre normali aspettative sulla realtà derivano da un consenso sociale. Ci viene insegnato come vedere e capire il mondo. Il trucco della socializzazione è di convincerci che le descrizioni sulle quali concordiamo definiscano i limiti del mondo reale. Ciò che definiamo realtà è solo un modo di vedere il mondo, un modo sostenuto da un consenso sociale.
[Perché in Viaggio a Ixtlan dà l'impressione di non usare più le piante psicotrope] Don Juan usò le piante psicotrope solo nel periodo centrale del mio apprendistato, perché ero proprio ottuso, complicato e superbo. Mi ero aggrappato alla mia visione del mondo come questa fosse l'unica verità. Quelle piante crearono una crepa nel mio sistema descrittivo. Distrussero una mia certezza dogmatica. Ma ho pagato un prezzo tremendo.
[In che modo questi cambiamenti personali possano influenzare la società] Il nostro primo interesse dovrebbe essere per noi stessi. Può piacermi il prossimo soltanto quando ho tutte le forze e non mi sento depresso. Per stare in questa condizione devo mantenere il mio corpo ben in assetto. Ogni rivoluzione deve iniziare qui, in questo corpo. Io posso alterare la mia cultura ma solo dall'interno di un corpo che è messo a punto in maniera impeccabile dentro questo mondo strano. Per me, il vero talento consiste nell'arte di essere un guerriero, che, come afferma don Juan, è l'unica via per compensare il terrore di essere un umano con lo stupore di essere un umano.
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