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by Claudio Lamparelli
Con il karma che abbiamo avuto (genetico, fisico,
psicologico, storico, religioso, familiare, ecc.) non possiamo far finta
di nulla e scegliere un altro percorso. È come scendere un fiume: una
volta in acqua, dobbiamo seguire la corrente e fare i conti con il
percorso obbligato dell’alveo. E qui c’è la varietà dei nostri destini,
delle nostre doti, dei nostri difetti, delle nostre esistenze, delle
nostre morti.
Volenti o nolenti, dobbiamo seguire il fiume e andare là dove ci porta, fino in fondo, finché non sfocia in mare.
Poiché l’acqua compie sempre lo stesso percorso, dalla
sorgente alla foce, il ciclo non s’interrompe: una volta giunta in mare
si fonde con l’acqua salata, evapora, sale in alto, ridiscende sotto
forma di pioggia e infine ricade ad alimentare quella sorgente o
un’altra.
Come fare, allora, a cambiare il nostro destino?
Dobbiamo riflettere su questo ciclo che, pur nelle diversità
individuali, è lo stesso per tutti. Magari in un’ansa particolarmente
calma, dove l’acqua rallenta la sua corsa, possiamo provare il desiderio
di rallentare o di fermarci. Lì possiamo ripensare a ciò che è
accaduto, alle mille o ai milioni di volte che siamo ridiscesi da quel
fiume o da un altro, e decidere che vogliamo interrompere quel ciclo di “va e vieni”. Ne abbiamo abbastanza.
Il più è rimanere consapevoli di questo stato di cose e di
questa decisione, in modo da non farsi riafferrare dal desiderio di
ritornare nel ciclo. Naturalmente, conta molto non aver lasciato nessuna
esperienza incompiuta, provare un senso di sazietà o di noia, vedere la
caducità di tutte le cose ed aspirare profondamente ad altro.
Così si compie il destino di qualcuno che non rientrare più
in circolo. Evaporerà in alto, ma non discenderà più sotto forma di
acqua.
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