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primo capitolo del Kularnava-Tantra
Dialogo tra Shiva e la sposa Parvati
1. Sedendo il Signore Supremo, Dio degli dèi, che è beatitudine somma e Maestro del mondo, sulla vetta del monte Kailasa, Parvâti così domandò.
2. Disse dunque la Dea: Santo, tu sei il Signore degli dèi, il dominatore dei cinque riti sacrificali; onnicoscIente e direttamente realizzabile mediante yoga tu sei. Sii generoso verso chi in te cerca rifugio, o Signore dell’Ordine [Kula, s’intende l’Ordine iniziatico tantrico], suprema legge ed Oceano del nettare di grazia.
4-5. O Maestro, innumeri masse di viventi in questo contingente e pur pauroso trasmutare, rinchiusi in vari corpi soffrono ogni sorta di dolori. Nascono e muoiono.
9*-11. Avvolti, come sono, da un non-sapere privo di principio, [gli esseri particolari] somigliano a scintille nel fuoco. L’azione loro e quella dei loro sensi li determina, secondo la sua qualità, in vari nomi [= in vari modi di individuazione]; sia buona che cattiva, essa li vincola ed è fonte di ogni miseria. Erranti di nascita in nascita, essi conseguono quel corpo, di varia durata, felicità e sofferenza, che è proprio al loro stato e alla risultanza delle loro opere. E, o Amata il corpo causale e il corpo sottile non periscono, finché la liberazione non sia raggiunta.
* Secondo la tradizione, in parola tanto in azione, « buona » che quella « cattiva » crea vincolo: se la seconda lega ad una forma inferiore di coscienza, la prima lega ad una forma superiore, ma non porta alla trascendenza, non alla libertà rispetto a qualsiasi forma particolare, che è data soltanto dallo stato di Conoscenza.
12-13*. Fine di tutte le cose, del mondo immoto e degli esseri dotati di movimento – striscianti vermi, guizzanti pesci, uccelli, belve, uomini, creature intente e virtuose e dèi – è la liberazione. Passati attraverso miriadi di nascite in una o in un’altra delle quattro classi e come conseguenza di un grande merito, si è al fine uomo e, per realizzazione della Conoscenza, un Liberato.
* A proposito delle varie « nascite», non ci si deve riferire alla veduta ingenuamente « rincarnazionista »: si tratta di passaggi in vari stati di esistenza, di cui quello umano o terrestre non è che uno particolare. Nei versi del testo il parlare di « miriadi di nascite » ha un senso soprattutto simbolico.
15-16. O Parvâti, è solamente per merito e attraverso difficoltà grandi che si perviene, dopo migliaia e migliaia di nascite in questo universo, allo stato umano di esistenza. Chi è più colpevole di colui che, avendo raggiunto questo stato così difficile a conseguirsi, pietra di base per la liberazione, non volge ad attraversare [la corrente del divenire] ?
17. In verità, è un assassino di se stesso chi, avendo raggiunto una [tale] nascita egregia ed essendo dotato di sensi perfetti non ha pertanto occhio per ciò che è richiesto per il suo bene.
18*. Senza un corpo, gli scopi dell’esistenza umana non possono essere realizzati. Perciò, avendo assunto un corpo che è prezioso, opera ciò che è conforme allo scopo.
19*. Il corpo va preservato con ogni mezzo, in esso essendo compresa ogni cosa. Tendi a preservarlo finché non abbi realizzata la Verità.
22*. Ciò che secondo la sua natura propria il corpo esige, gli sia concesso in vista del conseguimento della Conoscenza. La Conoscenza desterà il potere dello yoga di contemplazione (dhyânayoga?akti), dato il quale la librazione è facilmente realizzabile.
* Al tantrismo è propria una speciale valorizzazione del corpo, al luogo di disprezzo e della mortificazione di esso. Nel corpo conoscere e dominare tutti gli elementi e tutti i poteri – tale è il senso dello yoga tantrico. Uno stato di perfetta armonia del corpo e dell’anima, non di lotta, contrasto e sofferenza, é ciò che – secondo l’insegnamento iniziatico in genere – può propiziare la crescita interiore.
23. Se tu stesso non preservi il tuo proprio Io dal male, dove trovare chi, a lui più amico, lo aiuti ad attraversare [la corrente del divenire] ?
24-25-27*. Chi qui non preserva se stesso da ciò che è proprio agli Inferni, che cosa farà là dove non vi è più medicamento? Finché questo corpo dura, fa ciò per cui la verità può essere realizzata. Tendi al meglio prima che il male ti sopraffaccia, prima che i pericoli ti circondino e prima che i sensi perdano la loro forza.
* Qui si accenna all’idea, che chi aspira alla « conoscenza », deve raggiungerla in questa stessa esistenza terrestre.Meyrink ha detto: « Chi non impara a vedere in terra, di là non lo impara di certo ».L’Io umano trae il senso di se dall’umanità del corpo, e però quando il corpo viene meno, subentra, per il non-iniziato, uno stato di deliquio fino al trapasso in un’altra forma di esistenza condizionata. La coscienza può continuarsi a resistere dopo la morte soltanto nella misura di ciò che in questa esistenza abbia saputo far suo lungo la via della « conoscenza ».
35. Dominato dalla Tua mâyâ, (l’uomo) non vede benché abbia occhi, non intende benché abbia udito, non capisce benché sappia leggere.
36*. Questo mondo si inabissa nel profondo oceano del tempo infestato da corruzione, malattia e morte come da squali; pur tutta via nulla vien in esso conosciuto in funzione di questa conoscenza.
*Al primo scostarsi dal velo di mâyâ, l’uomo è percosso da una esperienza terrorizzante: è come se, sonnambulo, d’un tratto si « svegliasse e si accorgesse che sin ora ha proceduto sull’orlo di un abisso senza fondo ». Tutto il mondo lo sente come un precipitare vertiginoso, privo di qualsiasi punto di consistenza. E’ mahâkâla, la potenza divoratrice dal tempo, l’oceano del samsâra in cui il mondo con rapidità crescente si inabissa. Sono le « acque che danno il brivido » di cui anche Abraxa ha già accennato.
41. Amata, la morte abbatte l’uomo mentre egli pensa: « Questo è stato fatto » - « Questo non è stato fatto » - « Questo non è stato ancora compiutamente fatto».
42. L’opera di domani sia compiuta oggi, nel mattino quella della sera. La morte non ha riguardo per qualsiasi opera d’uomo che sia fatta o non fatta.
46*. Persino per gli dei Brahmâ, Vi?nu, Mahe? ed altri che sono esseri manifestati, verrà il giorno in cui essi cesseranno di esistere. Tu, quindi, lavora per la tua liberazione (poiché schiavi del corpo).
*Dal punto di vista iniziatico gli « dèi » sono potenze che rientrano nel mondo condizionato. L’esistenza loro può esser anche di periodi cosmici, ma non è eterna. Veramente immortale è solamente immortale il liberato – egli sussiste anche nella grande dissoluzione (mahâpralaya), nel periodo in cui tutta la manifestazione, in forza delle leggi cicliche viene riassorbita.
55*. Distacco è liberazione. Ogni male procede dall’attaccamento. Sii dunque distaccato e fisso nel Reale – e conseguirai beatitudine. Anche il (Supremo) conoscente dell’attaccamento è condotto a decadenza – che dire dunque di coloro che sono solo dei « piccoli conoscitori » ?
*« Realtà », in testi del genere, vale costantemente come sinonimo di « stato di conoscenza », cioè di non-dualità.
58. Finché l’uomo nella sua sete di piacere crea vincoli a se stesso, i dardi dell’affanno trafiggeranno il suo cuore.
66. Ogni giorno, ahimè, egli è consunto dai sensi, che sono ladri alloggiati nel suo corpo, nutrentisi degli oggetti del desiderio , che lo deludono in un continuo agoniare.
67. Come il pesce avido del cibo dell’esca non si accorge dell’amo, così l’uomo assetato d godimento non realizza il tormento [che importa il cadere in mano] al Dio degli inferni.
69. Dormire, accoppiarsi, mangiare e le altre analoghe funzioni sono comuni a tutti gli animali. Solo l’uomo è atto alla Conoscenza. Chi né è privo, è soltanto un bruto.
72. Tutti sono presi dai doveri delle loro varie caste o stati di vita (â?rama). Codesti sciocchi, o Parvâti, non conoscono la suprema Verità e periranno.
73. Altri ancora, pieni di lor ignoranza, illudono le genti predicando l’osservanza di riti e sacrifici.
74. Ve ne sono che, appagandosi di mere parole e preoccupati di cerimonie, stanno perplessi tra una caterva di rituali gonfi di formule invocative.
75*. Insipienti, che la Tua mâyâ sono giuocati, pensano di ottenere la liberazione imponendosi un sol pasto al giorno, digiunando ed operando altre discipline del genere che prostrano il corpo.
*Si è già detto che il presente testo si svolge come un dialogo fra ?iva e la sua sposa Parvâti. La « sposa » del dio personifica, fra l’altro, la sua potenza di manifestazione. Secondo i Tantra la divinità suprema ha appunto due aspetti: l’uno maschile immutabile (?iva-?akti) e l’altro femminile, mutevole, dinamico (mâyâ-?akti). Ogni manifestazione è uno scatenarsi della femmina mâyâ-?akti ad opera di ?iva-?akti. La differenza fra lo stato di essere dipendente e lo stato liberato è questa: che nel primo elemento mâyâ-?akti domina l’elemento ?iva, nel secondo l’elemento ?iva domina l’elemento mâyâ-?akti. il Dio domina la sua mâyâ (che qui non vuol dire « illusione », ma il potere donde sorge la manifestazione), il « vivente » o essere particolare (jîva) ne è invece dominato. In tale senso ?iva dice che gli insipienti, coloro che si affannano fuori del sentiero della vere Conoscenza metafisica, la quale non ha da fare né con il ritualismo, né con l’ascetismo male inteso, sono giuocati dalla mâyâ della sua stessa sposa.
76. A quale liberazione possono giungere codesti sciocchi con il mero tormento della carne? Dea, forse che la serpe viene uccisa quando si percuota il formicaio [che sta soltanto alla superficie del suo covo] ?
77. Questa razza di ipocriti per guadagno o per vanto se ne va con l’aria di sapienti ed inganna la gente.
78. Evita chi è dedito ai piaceri del mondo, chi si vanta di conoscere Brahman mentre è straniero alla vera pratica e al Brahman. Evitalo così come si evita un vile.
86. Signora dell’Ordine, tutte queste pratiche [acetiche] riescono soltanto ad illudere l’uomo. Librazione effettiva la dà soltanto la realizzazione attuale della Verità.
87*. Amata! I pa?u, finiti in fondo al pozzo profondo delle sei filosofie (dar?ana), soggiacciono ai vincoli e non conoscono ciò che è l’oggetto supremo e il fine della vita.
*Qui vi è un giuoco di parole, frequente nei Tantra, fra pa?a e pa?u. Pa?a vuol dire legame, vincolo, e pa?u animale, è un termine riferito, in genere, dai Tantra, ad ogni essere vincolato, o dagli istinti, o anche da norme morali e religiose. Proprio al kaula, all’iniziato tantrico, è lo sciogliersi da ogni specie di vincoli, di pa?a.
88. In disputa vana si agitano sullo smarrente oceano dei Veda e dalle altre scritture, e presi nelle onde del tempo sono vittime degli animali divoratori che si trovano in esse.
88-89*. Chi [dice di] conoscere i Veda, gli Agama ed i Purâna, ma non conosce l’oggetto supremo è un impostore. Ciò che egli dice su di essi rassomiglia ad un gracchiar di cornacchie.
90*. La suprema Verità è sopra una direzione, ma il travaglio dell’uomo sopra un’altra – mentre il vero significato delle scritture è così, essi la interpretano in differenti modi.
91-97*. Lo sciocco non sa che la Verità è nell’Io, ma è ossesso dalle scritture. Una conoscenza puramente verbale non dissipa l’angoscia del divenire. La tenebra non è spazzata dal semplice dire: Lampo.
98*. Il leggere per chi non è desto rassomiglia al guardare di un cieco dentro uno specchio. O Dea, le scritture daranno conoscenza della Verità solamente a colui nel quale sia già il Sapere.
104*. Dea, come l’uomo ristorato dall’aver bevuto nettare disdegna ogni altro nutrimento, parimenti chi ha realizzato Brahman non ha bisogno di alcun genere di scritture.
*In questi passi uno dei punti essenziali dell’insegnamento esoterico trova conferma anche da parte indù. Si possono leggere testi esoterici, ci si può sottoporre alla più ardue discipline. Ma tutto ciò, in se stesso, a ben poco conduce. « La suprema verità è sopra una direzione, il travaglio degli uomini sopra un’altra ». Occorre che un principio sia posto – solo allora cose , parole e segni, possono parlare e fecondare in ulteriori chiarità l’essere interiore.Nel presente testo sia accenna al metodo delle trasmissioni. L’epiteto dato all’inizio a ?iva è « Signore del kula ». Kula lett. significa famiglia nobile, ma qui è nome per l’organizzazione, o Ordine, degli iniziati Tantrici e per la loro « catena ». Come in un corpo, in organizzazioni del genere è attratta e vive una presenza, uno stato di coscienza trascendente a cui ognuno dei membri (kaula) partecipa e che egli può evocare. Questo stato può anche essere trasfuso, indotto in altri; e più o meno su tali basi che va intesa quella « Verità » che « si può conoscere soltanto dalla bocca di un Maestro e non da dieci milioni di testi », quella « parola » del Guru che ri-genera, trasfonde liberazione, crea vita – inizia. La « presenza » portata da alcune comunità Tantriche (kula) si lega al principio ?iva, da altre a quello ?akti.
105*.Non con lo studio dei Veda presso un insegnante, non con la lettura dei testi la liberazione può venire conseguita. O Adorata dai vira, la liberazione può produrla la realizzazione spirituale, e nient’altro che essa.
*Nel Tantrismo il tipo del vira ha una parte di rilievo. Vira vuol dire uomo virile in senso eminente, tipo eroico. La via dei Tantra è detta vira-marga, sentiero degli eroi, e vira e kaula (appartenenti alla comunità iniziatica Tantrica) valgono spesso come sinonimi. Si conferma così, pel Tantrismo, quella attitudine affermativa e virile sul piano iniziatico, per la quale siamo stati indotti a usare spesso, in queste pagine, in senso traslato, il termine « magia ».
106. L’osservanza dei vari doveri e devozionalità degli A?rama non mena a liberazione e nemmeno la filosofia o le scritture ne sono la causa; causa né è unicamente la Conoscenza.
107. Soltanto la parola di un Maestro trasfonde liberazione, ogni insegnamento [basato su semplici teorie] invece fuorvia; essa sola è datrice di via, e la sua efficacia è come di un carico di combustibile [che fa divampare il fuoco latente].
108. Il non-dualismo annunciato da ?iva non si lega a ritualismi e ad opere, lo si apprende dalla bocca di un Maestro e non dalla lettura di dieci milioni di trattati (âgama).
110. Alcuni desiderano monismo, altri dualismo. Costoro non conoscono per tanto la Mia Verità, che è di là sia da monismo che da dualismo.
111*. Vi sono due vie: l’una conduce al servaggio, l’altro alla liberazione. «Ciò sono io » e « Ciò non sono io » ne sono i principi; dall’uno l’uomo è vincolato, dall’altro liberato.
*La via della liberazione ha per principio: « io non sono questo ». Si tratta di abolire, non nel pensiero ma nella più profonda radice della vita, ahamkâra, cioè l’evidenza espressa dalla frase: « io sono questo essere così e così determinato: ciò che egli è, tale io sono ». E noi abbiamo già indicato nella disidentificazione, nell’estrazione dell’« oro » dalla « pietra » e via dicendo la prima ed imprescindibile operazione dell’Ars Regia .
112. Questa è l’azione che non porta a schiavitù, questa è la conoscenza che mena liberazione. Ogni azione diversa è solamente mania, ogni altra specie di conoscenza è mera esercitazione e cosa meccanica.
113. Fincé il desiderio continua ad ardere, finché si afferma il divenire, finché i sensi non sono stati fissati, coma si può parlare di Realtà e di Verità ?
114. Finché vi è spinta all’azione [estroversa], finché la mente oscilla fra ogni specie di risoluzioni, finché essa non sia stata immobilizzata come si può parlare di Realtà e di Verità ?
115. Finché la carne vanta se stessa e sussiste il senso di « Io sono questo », finché non ci si è guadagnati un Maestro, come si può parlare di Realtà e di Verità ?
116. Ascetismo, voti, pellegrinaggi, ripetizioni di formule, sacrifici nel fuoco, adorazione e cose simili, come anche dissertazione sui Veda, gli Agama e gli altri testi, possono servire soltanto finché la Realtà e la Verità non sono conosciute.
117. Perciò, o Dea, chi tende alla liberazione deve sempre, con ogni mezzo e dovunque, fermamente tenersi alla Realtà e alla Verità.
119. O Parvâti, a che pro tante parole? Fuor dalla delle dei Kaula non vi è liberazione. Questa è la verità ed essa non ammette dubbio.
120. Perciò io ti dico, o Dea, che l’uomo è facilmente liberato dal vincolo di questo pauroso migrare mediante la trasmissione diretta della Verità da parte di un Maestro.
121. (Così), o Amata, a te ho detto brevemente sull’origine degli esseri viventi e sulle loro vie.
2. Disse dunque la Dea: Santo, tu sei il Signore degli dèi, il dominatore dei cinque riti sacrificali; onnicoscIente e direttamente realizzabile mediante yoga tu sei. Sii generoso verso chi in te cerca rifugio, o Signore dell’Ordine [Kula, s’intende l’Ordine iniziatico tantrico], suprema legge ed Oceano del nettare di grazia.
4-5. O Maestro, innumeri masse di viventi in questo contingente e pur pauroso trasmutare, rinchiusi in vari corpi soffrono ogni sorta di dolori. Nascono e muoiono.
9*-11. Avvolti, come sono, da un non-sapere privo di principio, [gli esseri particolari] somigliano a scintille nel fuoco. L’azione loro e quella dei loro sensi li determina, secondo la sua qualità, in vari nomi [= in vari modi di individuazione]; sia buona che cattiva, essa li vincola ed è fonte di ogni miseria. Erranti di nascita in nascita, essi conseguono quel corpo, di varia durata, felicità e sofferenza, che è proprio al loro stato e alla risultanza delle loro opere. E, o Amata il corpo causale e il corpo sottile non periscono, finché la liberazione non sia raggiunta.
* Secondo la tradizione, in parola tanto in azione, « buona » che quella « cattiva » crea vincolo: se la seconda lega ad una forma inferiore di coscienza, la prima lega ad una forma superiore, ma non porta alla trascendenza, non alla libertà rispetto a qualsiasi forma particolare, che è data soltanto dallo stato di Conoscenza.
12-13*. Fine di tutte le cose, del mondo immoto e degli esseri dotati di movimento – striscianti vermi, guizzanti pesci, uccelli, belve, uomini, creature intente e virtuose e dèi – è la liberazione. Passati attraverso miriadi di nascite in una o in un’altra delle quattro classi e come conseguenza di un grande merito, si è al fine uomo e, per realizzazione della Conoscenza, un Liberato.
* A proposito delle varie « nascite», non ci si deve riferire alla veduta ingenuamente « rincarnazionista »: si tratta di passaggi in vari stati di esistenza, di cui quello umano o terrestre non è che uno particolare. Nei versi del testo il parlare di « miriadi di nascite » ha un senso soprattutto simbolico.
15-16. O Parvâti, è solamente per merito e attraverso difficoltà grandi che si perviene, dopo migliaia e migliaia di nascite in questo universo, allo stato umano di esistenza. Chi è più colpevole di colui che, avendo raggiunto questo stato così difficile a conseguirsi, pietra di base per la liberazione, non volge ad attraversare [la corrente del divenire] ?
17. In verità, è un assassino di se stesso chi, avendo raggiunto una [tale] nascita egregia ed essendo dotato di sensi perfetti non ha pertanto occhio per ciò che è richiesto per il suo bene.
18*. Senza un corpo, gli scopi dell’esistenza umana non possono essere realizzati. Perciò, avendo assunto un corpo che è prezioso, opera ciò che è conforme allo scopo.
19*. Il corpo va preservato con ogni mezzo, in esso essendo compresa ogni cosa. Tendi a preservarlo finché non abbi realizzata la Verità.
22*. Ciò che secondo la sua natura propria il corpo esige, gli sia concesso in vista del conseguimento della Conoscenza. La Conoscenza desterà il potere dello yoga di contemplazione (dhyânayoga?akti), dato il quale la librazione è facilmente realizzabile.
* Al tantrismo è propria una speciale valorizzazione del corpo, al luogo di disprezzo e della mortificazione di esso. Nel corpo conoscere e dominare tutti gli elementi e tutti i poteri – tale è il senso dello yoga tantrico. Uno stato di perfetta armonia del corpo e dell’anima, non di lotta, contrasto e sofferenza, é ciò che – secondo l’insegnamento iniziatico in genere – può propiziare la crescita interiore.
23. Se tu stesso non preservi il tuo proprio Io dal male, dove trovare chi, a lui più amico, lo aiuti ad attraversare [la corrente del divenire] ?
24-25-27*. Chi qui non preserva se stesso da ciò che è proprio agli Inferni, che cosa farà là dove non vi è più medicamento? Finché questo corpo dura, fa ciò per cui la verità può essere realizzata. Tendi al meglio prima che il male ti sopraffaccia, prima che i pericoli ti circondino e prima che i sensi perdano la loro forza.
* Qui si accenna all’idea, che chi aspira alla « conoscenza », deve raggiungerla in questa stessa esistenza terrestre.Meyrink ha detto: « Chi non impara a vedere in terra, di là non lo impara di certo ».L’Io umano trae il senso di se dall’umanità del corpo, e però quando il corpo viene meno, subentra, per il non-iniziato, uno stato di deliquio fino al trapasso in un’altra forma di esistenza condizionata. La coscienza può continuarsi a resistere dopo la morte soltanto nella misura di ciò che in questa esistenza abbia saputo far suo lungo la via della « conoscenza ».
35. Dominato dalla Tua mâyâ, (l’uomo) non vede benché abbia occhi, non intende benché abbia udito, non capisce benché sappia leggere.
36*. Questo mondo si inabissa nel profondo oceano del tempo infestato da corruzione, malattia e morte come da squali; pur tutta via nulla vien in esso conosciuto in funzione di questa conoscenza.
*Al primo scostarsi dal velo di mâyâ, l’uomo è percosso da una esperienza terrorizzante: è come se, sonnambulo, d’un tratto si « svegliasse e si accorgesse che sin ora ha proceduto sull’orlo di un abisso senza fondo ». Tutto il mondo lo sente come un precipitare vertiginoso, privo di qualsiasi punto di consistenza. E’ mahâkâla, la potenza divoratrice dal tempo, l’oceano del samsâra in cui il mondo con rapidità crescente si inabissa. Sono le « acque che danno il brivido » di cui anche Abraxa ha già accennato.
41. Amata, la morte abbatte l’uomo mentre egli pensa: « Questo è stato fatto » - « Questo non è stato fatto » - « Questo non è stato ancora compiutamente fatto».
42. L’opera di domani sia compiuta oggi, nel mattino quella della sera. La morte non ha riguardo per qualsiasi opera d’uomo che sia fatta o non fatta.
46*. Persino per gli dei Brahmâ, Vi?nu, Mahe? ed altri che sono esseri manifestati, verrà il giorno in cui essi cesseranno di esistere. Tu, quindi, lavora per la tua liberazione (poiché schiavi del corpo).
*Dal punto di vista iniziatico gli « dèi » sono potenze che rientrano nel mondo condizionato. L’esistenza loro può esser anche di periodi cosmici, ma non è eterna. Veramente immortale è solamente immortale il liberato – egli sussiste anche nella grande dissoluzione (mahâpralaya), nel periodo in cui tutta la manifestazione, in forza delle leggi cicliche viene riassorbita.
55*. Distacco è liberazione. Ogni male procede dall’attaccamento. Sii dunque distaccato e fisso nel Reale – e conseguirai beatitudine. Anche il (Supremo) conoscente dell’attaccamento è condotto a decadenza – che dire dunque di coloro che sono solo dei « piccoli conoscitori » ?
*« Realtà », in testi del genere, vale costantemente come sinonimo di « stato di conoscenza », cioè di non-dualità.
58. Finché l’uomo nella sua sete di piacere crea vincoli a se stesso, i dardi dell’affanno trafiggeranno il suo cuore.
66. Ogni giorno, ahimè, egli è consunto dai sensi, che sono ladri alloggiati nel suo corpo, nutrentisi degli oggetti del desiderio , che lo deludono in un continuo agoniare.
67. Come il pesce avido del cibo dell’esca non si accorge dell’amo, così l’uomo assetato d godimento non realizza il tormento [che importa il cadere in mano] al Dio degli inferni.
69. Dormire, accoppiarsi, mangiare e le altre analoghe funzioni sono comuni a tutti gli animali. Solo l’uomo è atto alla Conoscenza. Chi né è privo, è soltanto un bruto.
72. Tutti sono presi dai doveri delle loro varie caste o stati di vita (â?rama). Codesti sciocchi, o Parvâti, non conoscono la suprema Verità e periranno.
73. Altri ancora, pieni di lor ignoranza, illudono le genti predicando l’osservanza di riti e sacrifici.
74. Ve ne sono che, appagandosi di mere parole e preoccupati di cerimonie, stanno perplessi tra una caterva di rituali gonfi di formule invocative.
75*. Insipienti, che la Tua mâyâ sono giuocati, pensano di ottenere la liberazione imponendosi un sol pasto al giorno, digiunando ed operando altre discipline del genere che prostrano il corpo.
*Si è già detto che il presente testo si svolge come un dialogo fra ?iva e la sua sposa Parvâti. La « sposa » del dio personifica, fra l’altro, la sua potenza di manifestazione. Secondo i Tantra la divinità suprema ha appunto due aspetti: l’uno maschile immutabile (?iva-?akti) e l’altro femminile, mutevole, dinamico (mâyâ-?akti). Ogni manifestazione è uno scatenarsi della femmina mâyâ-?akti ad opera di ?iva-?akti. La differenza fra lo stato di essere dipendente e lo stato liberato è questa: che nel primo elemento mâyâ-?akti domina l’elemento ?iva, nel secondo l’elemento ?iva domina l’elemento mâyâ-?akti. il Dio domina la sua mâyâ (che qui non vuol dire « illusione », ma il potere donde sorge la manifestazione), il « vivente » o essere particolare (jîva) ne è invece dominato. In tale senso ?iva dice che gli insipienti, coloro che si affannano fuori del sentiero della vere Conoscenza metafisica, la quale non ha da fare né con il ritualismo, né con l’ascetismo male inteso, sono giuocati dalla mâyâ della sua stessa sposa.
76. A quale liberazione possono giungere codesti sciocchi con il mero tormento della carne? Dea, forse che la serpe viene uccisa quando si percuota il formicaio [che sta soltanto alla superficie del suo covo] ?
77. Questa razza di ipocriti per guadagno o per vanto se ne va con l’aria di sapienti ed inganna la gente.
78. Evita chi è dedito ai piaceri del mondo, chi si vanta di conoscere Brahman mentre è straniero alla vera pratica e al Brahman. Evitalo così come si evita un vile.
86. Signora dell’Ordine, tutte queste pratiche [acetiche] riescono soltanto ad illudere l’uomo. Librazione effettiva la dà soltanto la realizzazione attuale della Verità.
87*. Amata! I pa?u, finiti in fondo al pozzo profondo delle sei filosofie (dar?ana), soggiacciono ai vincoli e non conoscono ciò che è l’oggetto supremo e il fine della vita.
*Qui vi è un giuoco di parole, frequente nei Tantra, fra pa?a e pa?u. Pa?a vuol dire legame, vincolo, e pa?u animale, è un termine riferito, in genere, dai Tantra, ad ogni essere vincolato, o dagli istinti, o anche da norme morali e religiose. Proprio al kaula, all’iniziato tantrico, è lo sciogliersi da ogni specie di vincoli, di pa?a.
88. In disputa vana si agitano sullo smarrente oceano dei Veda e dalle altre scritture, e presi nelle onde del tempo sono vittime degli animali divoratori che si trovano in esse.
88-89*. Chi [dice di] conoscere i Veda, gli Agama ed i Purâna, ma non conosce l’oggetto supremo è un impostore. Ciò che egli dice su di essi rassomiglia ad un gracchiar di cornacchie.
90*. La suprema Verità è sopra una direzione, ma il travaglio dell’uomo sopra un’altra – mentre il vero significato delle scritture è così, essi la interpretano in differenti modi.
91-97*. Lo sciocco non sa che la Verità è nell’Io, ma è ossesso dalle scritture. Una conoscenza puramente verbale non dissipa l’angoscia del divenire. La tenebra non è spazzata dal semplice dire: Lampo.
98*. Il leggere per chi non è desto rassomiglia al guardare di un cieco dentro uno specchio. O Dea, le scritture daranno conoscenza della Verità solamente a colui nel quale sia già il Sapere.
104*. Dea, come l’uomo ristorato dall’aver bevuto nettare disdegna ogni altro nutrimento, parimenti chi ha realizzato Brahman non ha bisogno di alcun genere di scritture.
*In questi passi uno dei punti essenziali dell’insegnamento esoterico trova conferma anche da parte indù. Si possono leggere testi esoterici, ci si può sottoporre alla più ardue discipline. Ma tutto ciò, in se stesso, a ben poco conduce. « La suprema verità è sopra una direzione, il travaglio degli uomini sopra un’altra ». Occorre che un principio sia posto – solo allora cose , parole e segni, possono parlare e fecondare in ulteriori chiarità l’essere interiore.Nel presente testo sia accenna al metodo delle trasmissioni. L’epiteto dato all’inizio a ?iva è « Signore del kula ». Kula lett. significa famiglia nobile, ma qui è nome per l’organizzazione, o Ordine, degli iniziati Tantrici e per la loro « catena ». Come in un corpo, in organizzazioni del genere è attratta e vive una presenza, uno stato di coscienza trascendente a cui ognuno dei membri (kaula) partecipa e che egli può evocare. Questo stato può anche essere trasfuso, indotto in altri; e più o meno su tali basi che va intesa quella « Verità » che « si può conoscere soltanto dalla bocca di un Maestro e non da dieci milioni di testi », quella « parola » del Guru che ri-genera, trasfonde liberazione, crea vita – inizia. La « presenza » portata da alcune comunità Tantriche (kula) si lega al principio ?iva, da altre a quello ?akti.
105*.Non con lo studio dei Veda presso un insegnante, non con la lettura dei testi la liberazione può venire conseguita. O Adorata dai vira, la liberazione può produrla la realizzazione spirituale, e nient’altro che essa.
*Nel Tantrismo il tipo del vira ha una parte di rilievo. Vira vuol dire uomo virile in senso eminente, tipo eroico. La via dei Tantra è detta vira-marga, sentiero degli eroi, e vira e kaula (appartenenti alla comunità iniziatica Tantrica) valgono spesso come sinonimi. Si conferma così, pel Tantrismo, quella attitudine affermativa e virile sul piano iniziatico, per la quale siamo stati indotti a usare spesso, in queste pagine, in senso traslato, il termine « magia ».
106. L’osservanza dei vari doveri e devozionalità degli A?rama non mena a liberazione e nemmeno la filosofia o le scritture ne sono la causa; causa né è unicamente la Conoscenza.
107. Soltanto la parola di un Maestro trasfonde liberazione, ogni insegnamento [basato su semplici teorie] invece fuorvia; essa sola è datrice di via, e la sua efficacia è come di un carico di combustibile [che fa divampare il fuoco latente].
108. Il non-dualismo annunciato da ?iva non si lega a ritualismi e ad opere, lo si apprende dalla bocca di un Maestro e non dalla lettura di dieci milioni di trattati (âgama).
110. Alcuni desiderano monismo, altri dualismo. Costoro non conoscono per tanto la Mia Verità, che è di là sia da monismo che da dualismo.
111*. Vi sono due vie: l’una conduce al servaggio, l’altro alla liberazione. «Ciò sono io » e « Ciò non sono io » ne sono i principi; dall’uno l’uomo è vincolato, dall’altro liberato.
*La via della liberazione ha per principio: « io non sono questo ». Si tratta di abolire, non nel pensiero ma nella più profonda radice della vita, ahamkâra, cioè l’evidenza espressa dalla frase: « io sono questo essere così e così determinato: ciò che egli è, tale io sono ». E noi abbiamo già indicato nella disidentificazione, nell’estrazione dell’« oro » dalla « pietra » e via dicendo la prima ed imprescindibile operazione dell’Ars Regia .
112. Questa è l’azione che non porta a schiavitù, questa è la conoscenza che mena liberazione. Ogni azione diversa è solamente mania, ogni altra specie di conoscenza è mera esercitazione e cosa meccanica.
113. Fincé il desiderio continua ad ardere, finché si afferma il divenire, finché i sensi non sono stati fissati, coma si può parlare di Realtà e di Verità ?
114. Finché vi è spinta all’azione [estroversa], finché la mente oscilla fra ogni specie di risoluzioni, finché essa non sia stata immobilizzata come si può parlare di Realtà e di Verità ?
115. Finché la carne vanta se stessa e sussiste il senso di « Io sono questo », finché non ci si è guadagnati un Maestro, come si può parlare di Realtà e di Verità ?
116. Ascetismo, voti, pellegrinaggi, ripetizioni di formule, sacrifici nel fuoco, adorazione e cose simili, come anche dissertazione sui Veda, gli Agama e gli altri testi, possono servire soltanto finché la Realtà e la Verità non sono conosciute.
117. Perciò, o Dea, chi tende alla liberazione deve sempre, con ogni mezzo e dovunque, fermamente tenersi alla Realtà e alla Verità.
119. O Parvâti, a che pro tante parole? Fuor dalla delle dei Kaula non vi è liberazione. Questa è la verità ed essa non ammette dubbio.
120. Perciò io ti dico, o Dea, che l’uomo è facilmente liberato dal vincolo di questo pauroso migrare mediante la trasmissione diretta della Verità da parte di un Maestro.
121. (Così), o Amata, a te ho detto brevemente sull’origine degli esseri viventi e sulle loro vie.
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