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Rumi: “Se sapesse cosa c’è dall’altra parte, la
terra sarebbe disabitata”
Tutte le paure della nostra vita si
concentrano alla fine in un’unica paura: la paura della morte. Se riusciamo a
superarla, a passarvi oltre, vivremo una nuova esistenza.
In verità non è la morte che temiamo, è la
vita. Abbiamo paura che non vada come vorremmo. Sono le nostre aspettative a
nutrire i nostri timori. Sacrificandoli, scopriremo che la vita è fatta per
noi, così come ci si presenta.
Forse non otterremo tutto ciò che vogliamo,
ma riceveremo sicuramente tutto ciò di cui abbiamo bisogno, generosamente. Se
riusciamo a vincere la paura della morte, allora torneremo alla vita. Saremo nuovi,
e nulla potrà più spaventarci. Sembrerà strano ma la morte è la chiave per la
vita. ----------------
La consapevolezza del respiro (Hosh
dar dam)
In persiano HOSH significa MENTE; DAR significa DENTRO; DAM significa RESPIRO
Siamo prima di tutto esseri che respirano, il
respiro non ci abbandona mai.
Il respiro è la porta sul presente ci mette
in contatto con la nostra essenza. Allora la mente si placa e diventa possibile
calarsi nell’attimo.
Prendere consapevolezza della propria
respirazione significa compiere metà del cammino che porta al dominio della
mente. Il cammino Naqshbandi parte dalle cose facili, veloci, universali:
invita per prima cosa a concentrarsi sulle proprie funzioni vitali base.
Quando inspiriamo diciamo dentro di noi “Inspiro” quando espiriamo “Espiro”. Oppure possiamo ripetere
“Dentro” e “Fuori”. Quando la percezione è stabile possiamo non dirlo più.
Chiunque può seguire questa pratica, ovunque
si trovi, in qualunque momento.
La mente è la superficie e avrà sempre delle
onde, ma bastano già solo 20 minuti, due volte al giorno di respirazione consapevole,
e la mente si placherà.
Osservare i propri passi (Nazar
bar qadam)
Significa mantenere gli occhi bassi mentre si
cammina. Essere attenti ad ogni passo che si compie. Vuol dire essere presenti
e rinascere quando è il momento giusto per agire.
Uomini e donne, soprattutto se giovani,
quando camminano per strada si guardano continuamente intorno perché desiderano
essere riconosciuti e ricevere delle conferme.
La consapevolezza che abbiamo di noi stessi è
dominata dalla sessualità. Il derviscio dal momento in cui esce di casa guarda
solo in basso. Rilassa lo sguardo e smette di ispezionare tutto ciò che gli sta
intorno.
Questo è un lavoro spirituale.
Il viaggio interiore (Safar
da watan)
“Viaggiare
verso la propria terra natale”. Non è un’evoluzione verso qualcosa bensì un
tornare alle nostre origini. Per questo la via Sufi è chiamata anche “La via del ritorno”.
Dobbiamo guardare dentro di noi, volgerci
verso l’origine di ogni cosa.
La solitudine nella folla (Khalwat
dar anjuman)
Khalwat = ritiro
“La
solitudine nella folla” indica essere esteriormente con gente rimanendo
interiormente con Dio.
È necessario superare l’illusione di non
essere completi e la convinzione di aver bisogno dell’altra metà per esserlo.
Abbiamo questa sensazione perché nascondiamo a noi stessi quella parte che, pur
essendo dentro di noi, cerchiamo nell’altro. Il sufismo non richiede
l’ascetismo. Grazie alla pratica, il discepolo avverte che la situazione della
propria esistenza appare più semplice. Ciò non accade perché le circostanze
migliorano, anzi, di fatto spesso peggiorano, ma solo perché ora è più presente
a se stesso e quindi meno coinvolto nelle contingenze mutevoli del mondo
circostante.
Il ricordo essenziale (Yad
Kard)
Yard è dhikr o “ricordo”, Kard è “l’essenza
dello dhikr”. Ricordo essenziale significa “concentrarsi sulla presenza
divina”.
Individuiamo dentro di noi ciò che abbiamo
elevato a divinità: paura, desideri, opinioni, preoccupazioni che dominano i
nostri pensieri e li riversiamo nell’oceano dell’infinito.
Il ritorno (Baz
Gasht)
“Riconoscere l’unicità divina”
L’ego cerca soddisfazione nel fare; deve
avere sempre nuove idee, nuovi programmi, il passo successivo da compiere. Nello stadio di “ritorno” il derviscio scopre
che non c’è nulla che egli possa fare e percepisce nitidamente chi è il vero
artefice.
La febbre del fare cessa, subentra una pace
profonda e tutto va meglio.
L’attenzione (Nigah
Dasht)
Nigah significa “vista”. “L’attenzione” è
l’invito a osservare il proprio cuore e a impedire che i cattivi pensieri vi
entrino.
Il raccoglimento (Yada
Dasht)
Il “raccoglimento” significa “mantenere il
proprio cuore nella presenza divina”, “avvicinarsi alla verità”.
La consapevolezza del tempo (Wuquf
Zamani)
Significa “essere presenti, attenti alla
mutevolezza dei propri stati mentali nel tempo”.
Il tempo è sempre in connessione con un
movimento e quindi con lo spazio. Spazio e tempo possono essere manipolati.
La consapevolezza dei numeri (Wuquf
‘adadi)
Il principio indica l’osservanza del numero
esatto di ripetizioni dello dhikr.
Rispettare la verità dei numeri mantiene
nella presenza. L’universo è matematico: fisica e astronomia sono scienze
matematiche che studiano spazio e tempo. In realtà ogni scienza è dettatata dai
numeri.
La consapevolezza del cuore (Wuquf
Qalbi)
Si raggiunge la “consapevolezza che la realtà
è solo nel cuore”.
Comprendere ciò significa avere in mano le
chiavi dell’universo.
È lo stadio del kun faya kun, “Sia ed è”: nel cuore la manifestazione è istantanea,
questo è il suo potere, che però è difficile da dimostrare perché è così
veloce, immediato, che la mente nella sua lentezza non sarebbe in grado di
coglierlo.
Questa stazione è il punto di arrivo del
viaggio al centro del cuore.
La dimora
dell’esistenza. Il cuore è il centro; è la
fonte della vita, la dimora fisica e spirituale della nostra esistenza.
Tuttavia è la mente ad essere percepita come
la plancia di comando perché è sempre in movimento, non ha mai pace e ci
mantiene immersi nei nostri pensieri e preoccupazioni ventiquattr’ore al
giorno. Più la mente è attiva, più genera sofferenza. Il derviscio impara che
il potere non risiede nella mente o nei muscoli, ma unicamente nel cuore,
quando ne comprende la vera natura crea un campo di attrazione che richiama
tutto ciò di cui ha bisogno. Chiamiamo questo potere la “calamita del cuore”.
Il respiro è la fune che attraverso il corpo
ci lega all’anima permettendoci di salire in alto fino a raggiungere la
dimensione dello spirito.
Il respiro è il punto di raccordo tra il
mondo esteriore e quello interiore.
Siamo immersi nel mondo psichico. Pensiamo di
essere liberi, di essere noi a decidere, ma siamo condizionati dai nostri
pensieri ed emozioni. Le persone sono così assorbite dalle loro storie
personali, ricurve sulle proprie ferite e desideri personali, che alla semplice
domanda “Per cosa vivi?” reagiscono
come se avessero ricevuto un colpo d’ascia nella schiena.
Se cerchiamo la risposta alla vita dentro le
nostre vicende personali non la troveremo mai.
“Se senti che ogni giorno è uguale all’altro,
significa che ne hai perso uno”.
Se non abbiamo una vita interiore, dobbiamo
confrontarci con il mondo materiale. Ma il nostro Io Superiore sa che è solo un
sollievo effimero, il vero significato dell’esistenza è altrove. Con l’età tale
sensazione si acuisce e sentiamo di avere mancato la vita.
L’invito divino è: trova qualcosa in te che
non possa scomparire.
Quando veniamo alla luce nasciamo al mondo
visibile, quando moriamo nasciamo a quello invisibile. Nel passaggio accade il
trasferimento da uno stato vibrazionale all’altro.
Così come la morte non esiste, non esiste
neppure l’aldilà, è solo una questione di frequenze diverse.
Abitiamo in un cosmo in movimento, che danza.
Quando un oggetto si muove nello spazio e nel tempo, acquista una frequenza.
Ogni materia ha una vibrazione che produce un suono. I suoni nell’altro mondo
sono molto diversi. Gli angeli comunicano attraverso una sorta di telepatia.
Noi siamo il prodotto dell’insieme di luce,
suono ed energia. Quando questi tre elementi si combinano, creano la materia.
Migliaia di anni fa gli abitanti della terra
potevano ascoltare le risonanze di ogni singola anima, anche di quelle non
ancora manifestatesi.
In Cielo sono presenti bacini di risonanza
dai quali discendono sulla terra miliardi di anime. Nel tempo il numero cambia:
ogni ciclo dell’umanità ha bisogno di un suo equilibrio di anime presenti sul
pianeta. Ora, ad esempio, vi sono più anime incarante di quelle che sono in
Cielo, questo causa degli scompensi.
Come viene bilanciata la situazione?
Attraverso le catastrofi naturali e le epidemie. Se la nostra umanità non si
evolve spiritualmente, sei persone su sette sono destinate ad andarsene, lo
dicono le profezie. Non è il numero delle anime ad essere troppo elevato sulla
terra, lo è il numero degli esseri inconsapevoli.
Sul nostro
pianeta c’è abbastanza per tutti ma non per l’ego di tutti.
Ogni singolo momento della vita viene
registrato nel cervello. Questa “memoria radice” rimane profondamente
localizzata dentro di noi, per sempre. È connessa alle risonanze magnetiche del
cosmo, è scritta fin dall’inizio della creazione quando l’atomo primario è
esploso. Al momento della morte, la nostra memoria non viene azzerata: portiamo
con noi le nostre emozioni, i nostri ricordi nel corpo eterico.
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