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ALCUNE RIFLESSIONI SUL TEMPO
Il tempo
distrugge tutto ciò che crea. La morte viene interamente trascesa solo
quando il tempo viene trasceso; l’immortalità appartiene alla coscienza
che ha aperto un varco nella dimensione temporale in direzione
dell’eternità.
In tutte le
filosofie e le religioni tradizionali del mondo, il tempo viene
considerato in qualità di nemico e ingannatore, prigione e camera di
tortura. Solo in quanto strumento, in quanto mezzo in vista di altro,
esso possiede un valore positivo, poiché il tempo fornisce all’anima
incarnata le opportunità per trascendere il tempo. I beni morali
posseggono molti ed evidenti valori utilitari; ma il loro supremo e
fondamentale valore consiste nel fatto di essere mezzi atti a promuovere
quel distacco dell’io che è la precondizione della comprensione
dell’eterno.
Il flusso della
durata è
indefinito e inconcludente, un trascorrere perpetuo che non
possiede in sé alcuna forma, alcuna possibilità di equilibrio, di
simmetria. La natura, in realtà, impone a questo perpetuo svanire una
certa apparenza di ordine e simmetria. Così i giorni si alternano alle
notti, le stagioni ricorrono con regolarità, le piante e gli animali
percorrono il proprio cicli vitale, e ad essi subentra una progenie del
tutto somigliante. Lo spazio è un simbolo dell’eternità, poiché nello
spazio si dà libertà, esiste la reversibilità del movimento, e non vi è
nulla nella natura dello spazio, a differenza di quella del tempo, che
condanni quanto da essa abbracciato alla morte ed alla dissoluzione
inevitabili. L’evidenza indica che è l’anima individuale, incarnata in
un particolare momento del tempo, la sola capace di stabilire un
contatto con il Divino, il che significa escludere ogni altra anima.
Quanti credono
nel primato della persona e pensano che il Fine Ultimo di ogni persona
sia quello di trascendere il tempo e comprendere ciò che è eterno e al
di fuori del tempo, sono sempre difensori della nonviolenza, della
mitezza, della pace e della tolleranza, come gli indù, i buddisti, i
taoisti e i cristiani delle origini. Quanti, al contrario, amano essere
“profondi” alla maniera di Hegel e di Marx, e pensano che la Storia
riguardi l’Umanità-in-quanto-Massa e
l’Umanità-in-quanto-successione-di-generazioni, non uomini e donne
individui, qui e ora, sono indifferenti alla vita umana ed ai valori
della persona, venerano Moloch che chiamano Stato e Società, e sono
tranquillamente preparati a sacrificare più generazioni di persone reali
e concrete, alla ricerca di una felicità del tutto ipotetica che, senza
alcun motivo, essi pensano sarà il destino dell’Umanità in un remoto
futuro. La politica di coloro i quali considerano l’eternità come realtà
ultima, si preoccupa del presente, dei modi e dei mezzi per organizzare
il mondo attuale in guisa tale da incontrare il minor numero possibile
di ostacoli sulla strada della liberazione individuale dal tempo e dalla
ignoranza. Quelli che, al contrario, considerano il tempo come la
realtà ultima, si preoccupano anzitutto del futuro, considerano il mondo
attuale ed i suoi abitanti come semplici detriti, carne da macello e
schiavi da lavoro che vanno sfruttati, terrorizzati, uccisi o ridotti in
briciole, affinché persone che potranno anche non nascere mai, in un
tempo futuro di cui nulla può essere saputo col benché minimo grado di
certezza, possano godere di quell’età meravigliosa che rivoluzionari e
guerrafondai odierni pensano sia per esse necessaria.
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LA FILOSOFIA DEI SANTI (O FILOSOFIA PERENNE)
Philosophia Perennis: l’espressione fu coniata da Leibniz. Philosophia Perennis
è la metafisica che riconosce una Realtà Divina consostanziale al mondo
delle cose, delle vite e degli spiriti; è la psicologia che scopre
nell’anima qualcosa di simile, o addirittura di identico alla Realtà
divina; è l’etica che ripone lo scopo ultimo dell’uomo nella conoscenza
dell’immanente e trascendente Fondamento dell’intero essere. Rudimenti
della Filosofia Perenne si possono trovare all’interno del complesso di
tradizioni dei popoli primitivi in ogni regione del mondo. Una versione
di questa Suprema Misura Comune di ogni teologia fu affidata per la
prima volta alla scrittura più di 25 secoli fa, e da allora
l’inesauribile tema è stato sempre di nuovo ripreso, dal punto di vista
di ogni singola tradizione religiosa ed in tutte le principali lingue
dell’Asia e dell’Europa. La conoscenza è una funzione dell’essere.
Quando avviene un mutamento nell’essere di chi conosce, si verifica un
mutamento corrispondente nella natura e nella misura del conoscere.
Quando l’individuo cresce, la sua conoscenza diventa più concettuale,
assume una forma sistematica ed il suo contenuto utilitario e fattuale
viene enormemente incrementato. Ma a questi guadagni si contrappone un
certo deterioramento nella qualità dell’apprensione immediata, un
ottundimento ed una diminuzione della capacità intuitiva. Ciò che
sappiamo dipende anche da ciò che, in quanto esseri morali, scegliamo di
fare riguardo a noi stessi.
La Filosofia
Perenne riguarda principalmente l’unica, divina Realtà sostanziale al
mondo molteplice delle cose, delle vite e degli spiriti. Ma la natura di
quest’unica Realtà è tale da non poter essere direttamente ed
immediatamente appresa se non da coloro che hanno scelto di adempiere
certe condizioni: rendendosi colmi d’amore, puri di cuore e poveri in
spirito.
Possiamo
supporre che lo spirito dell’uomo medio abbia, fra i propri elementi
costitutivi, qualcosa di rassomigliante o di identico alla Realtà
sostanziale al mondo molteplice; ciò nonostante, quando quello spirito
subisce ceti trattamenti piuttosto drastici, l’elemento divino, di cui
almeno in parte è composto, diviene manifesto, non soltanto allo spirito
stesso, ma anche, mediante il suo riflesso sul comportamento esteriore,
agli altri spiriti.
Ed è anche
unicamente compiendo esperimenti psicologici e morali che possiamo
scoprire l’intima natura dello spirito e delle sue potenzialità. Nelle
circostanze ordinarie della vita media sensibile queste potenzialità
dello spirito rimangono latenti e non si manifestano. Se vogliamo
attuarle, dobbiamo adempiere certe condizioni ed obbedire a certe
regole.
In ogni epoca
vi sono comunque stati uomini e donne che scelsero di adempiere le
condizioni che sole, consentono di raggiungere tale conoscenza
immediata. A tale genuini interpreti della Filosofia Perenne, quanti li
conobbero hanno generalmente attribuito il nome di “santi” o “profeti”,
di “saggi” o “illuminati”.
La Realtà
ultima non viene chiaramente ed immediatamente appresa se non da quanti
si sono resi colmi d’amore, puri di cuore e poveri in spirito.
Se non si è né
saggi né santi, la miglior cosa da fare, nel campo della metafisica, è
di studiare le opere di coloro che lo furono, e di chi, avendo
modificato il proprio modo di essere meramente umano, fu capace di
pervenire ad una qualità e ad una musura di conoscenza più che meramente
umane.
RELIGIONE E TEMPO
La religione è
varia quanto l’umanità. Le sue risposte alla vita sono talvolta
intelligenti e creative, talvolta stupide, assurde e distruttive.
Attraverso le sue dottrine, a volte presenta un adeguato quadro della
natura e della qualità della Realtà ultima, altre volte un quadro
dipinto con le più cupe bramosie umane, e quindi interamente falso.
I frutti di
certe cattive pratiche e credenze meno veraci sono fallimenti nel
pervenire al superiore sviluppo di cui l’individuo o i gruppi sono
capaci; non catastrofi, ma il mancato conseguimento dei frutti dello
spirito, amore, gioia e pace. Siminili fallimenti e mancanti
conseguimenti possono però essere valutati unicamente da osservatori
dotati di una capacità di discernimento superiore a quella ordinaria, o
da coloro che si trovano in posizione tale da poter volgere a ritroso lo
sguardo su di un ampio intervallo del percorso compiuto dagli individui
e dai gruppi presi in considerazione.
È dunque chiaro che accanto al criterio dei frutti abbiamo bisogno di un altro più facilmente applicabile.
Il criterio più
elementare è quello che fa riferimento all’unicità o alla pluralità
dell’oggetto di culto. Si è scoperto che le dottrine e le pratiche del
monoteismo sono, parlando in termini generali, più veraci e migliori di
quelle del politeismo, e conducono a risultati più soddisfacenti, sia
per gli individui che per le società. La distinzione tra monoteismo e
politeismo non è però sufficiente.
Ma il Dio unico
è un Dio d’amore. Alla luce di questo discernimento potremo affinare il
nostro criterio, ed asserire che risulteranno credenze più veraci e
pratiche migliori, quelle che assumono come proprio oggetto un unico Dio
d’amore.
Ma il nostro criterio necessita di essere ulteriormente affinato.
Le forme più
veraci di religione sono quelle in cui Dio viene concepito, non solo
come unico e colmo d’amore, ma anche come eterno; e le migliori forme di
pratica religiosa sono quelle che aiutano a creare nello spirito una
condizione che si approssimi all’eternità.
In tutte le
religioni superiori, le dottrine concernenti la Realtà eterna, e le
pratiche designate per aiutare i fedeli a disporsi sufficientemente al
di fuori del tempo per apprendere un Dio eterno, posseggono una forte
somiglianza di famiglia.
L’insegnamento
pratico dei mistici indiani e cristiani è identico su questioni quali la
“santa indifferenza” nei confronti degli affari temporali; la
mortificazione della memoria del passato e dell’ansia riguardo al
futuro; la rinuncia alla preghiera supplice in favore del semplice
abbandono alla volontà di Dio.
I grandi
mistici geocentrici hanno sempre posto una netta distinzione tra lo
“psichico” e lo “spirituale”. Secondo la loro visione, i fenomeni della
prima classe esistono all’interno di una dimensione poco conosciuta del
mondo spazio-temporale, ma in nessun modo ad esso intrinsecamente
superiore. I fenomeni spirituali, d’altro lato, appartengono all’ordine
atemporale ed eterno, entro il quale l’ordine temporale possiede la
propria esistenza di realtà inferiore. L’atteggiamento dei mistici nei
confronti dei “miracoli” è di accettazione intellettuale e di distacco
emozionale e volitivo. Si deve sempre resistere alla tentazione di voler
compiere “miracoli”. Per i mistici questa tentazione è particolarmente
forte, poiché coloro che cercano di rendersi atemporalmente consci della
Realtà eterna, di frequente sviluppano, nel corso del processo,
insolite capacità psichiche.
Un’altra
fisionomia frequentemente assunta dalla religione temporale è quella
della dottrina apocalittica – credenza in un evento cosmico
straordinario che avrà luogo in un futuro non troppo distante, unita
alle pratiche ritenute appropriate ad un simile stato di cose. Qui,
ancora una volta, l’intensa preoccupazione rivolta al tempo futuro,
garantisce il sostenitore della dottrina apocalittica contro la
possibilità di una atemporale comprensione della Realtà eterna.
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RIFLESSIONI SUL PROGRESSO
Il progresso
biologico, come ogni altro tipo di trasformazione evolutiva, è
determinato da mutazioni, le cui conseguenze vengono ereditate.
Plausibilmente, anche il progresso umano dovrebbe essere determinato
nella stessa materia, ma, per lo meno nell’ambito delle epoche storiche,
non è stato così. Se un progresso ereditario dovrà verificarsi nella
specie umana, esso sarà determinato da quello stesso tipo di
riproduzione selettiva che ha migliorato le razze degli animali
domestici. Diverrebbe possibile, nell’arco di alcuni secoli, innalzare
il livello medio dell’intelligenza umana ad un punto che superi di molto
quello attuale.
Nel frattempo,
vale la pena di sottolineare che le qualità ereditarie delle popolazioni
più civilizzate del mondo si stanno probabilmente deteriorando. Ciò è
dovuto al fatto che le persone di gracile costituzione fisica e di basso
quoziente intellettivo hanno, nelle attuali condizioni, una chance di
vivere migliore di quella che i loro simili abbiano mai avuto nelle
condizioni molto più severe prevalenti in passato. Il progresso umano,
nell’ambito del tempo storico, differisce dal progresso biologico
nell’essere, un fatto non di eredità ma di tradizione. Questa
tradizione, orale e scritta, ha svolto la funzione di veicolo per il cui
tramite le conquiste di individui eccezionali sono state rese
disponibili ai loro contemporanei ed ai loro successori, e le nuove
scoperte di una generazione sono state trasmesse, divenendo così un
luogo comune per le successive.
Nel formulare
standard per misurare il progresso umano, dobbiamo tenere conto dei
valori che, secondo l’opinione dei singoli uomini e delle singole donne,
rendono la vita degna di essere vissuta.
Una dittatura,
per quanto benevoli possano essere i suoi intenti, è sempre cattiva,
poiché istiga una minoranza ad appagare la sete di potere, mentre
costringe i più ad agire in qualità di irresponsabili e servili
destinatari di ordini dall’alto.
L’esperienza del progresso tecnologico ed anche l’esperienza di quello umano, raramente sono continue e durevoli.
Data la natura
delle nostre menti, non sperimentiamo il progresso in maniera continua,
ma solo a sbalzi, nel corso delle prime fasi di un qualsiasi nuovo
avanzamento.
Ciò che siamo
dipende da ciò che crediamo. Ciò che crediamo dipende da ciò che è stato
insegnato – dai nostri genitori e dai nostri maestri di scuola, dai
libri e dai giornali che leggiamo, dalle tradizioni, dalle
organizzazioni economiche, politiche ed ecclesiastiche cui apparteniamo.
L’edonismo, per
esempio, è una filosofia inadatta. La nostra natura ed il mondo sono
tali per cui, se facciamo della felicità la nostra meta, non
raggiungeremo la felicità.
Più adatte
risultano quelle filosofie politiche che per milioni di nostri
contemporanei hanno preso il posto delle religioni tradizionali. In tali
filosofie politiche l’acceso nazionalismo è unito ad una teoria dello
stato e ad un sistema economico. Chi accetta simili filosofie, è indotto
in molti casi ad una vita di devozione verso la causa nazionale ed
ideologica. La nazione ed il partito sono le divinità delle quali il
fedele è giustificato nel compiere qualsiasi cosa, per quanto
abominevole, che sembri far avanzare la sacra causa.
Nelle religioni
tradizionali, come in certe forme di Cristianesimo, di Induismo e di
Buddismo, la causa cui il fedele si vota è soprannaturale e la piena
realizzazione del suo ideale non avviene “in questo mondo”. Pertanto,
chi vi aderisce possiede una migliore chance di conservare la felicità.
Gli intenti
dello stoicismo (il controllo dell’io NdC) vengono pienamente raggiunti
non dagli stoici, ma da chi, mediante la contemplazione o la devozione,
si apre alla “grazia”, al “Logos”, al “Tao”, allo “Atman-Brahman”, alla
“luce interiore”. È aspirando alla comprensione dell’eterno che
diventiamo capaci di ottenere il meglio dalla nostra esistenza nel
tempo.
ULTERIORI RIFLESSIONI SUL PROGRESSO
Osservato dal
punto di vista della Filosofia Perenne, il progresso biologico è una
crescita della coscienza, in qualità ed estensione, che viene ereditata.
Nel corso dell’evoluzione terrestre, la vita ha prodotto la coscienza e
nell’uomo, il prodotto più alto dell’evoluzione, la coscienza ha
raggiunto un livello tale per cui qualsiasi individuo può (solo che
desideri, sappia in che modo, e sia preparato ad adempiere certe
condizioni), aprirsi alla conoscenza unitiva della realtà spirituale.
L’evoluzione biologica non conduce di per sé, automaticamente, a questa
conoscenza unitiva. Essa conduce semplicemente alla possibilità di tale
conoscenza. E conduce a questa possibilità tramite lo sviluppo del
libero volere e dell’autocoscienza. Il libero volere e l’autocoscienza
sono però la radice dell’ignoranza e dell’agire erroneo specificamente
umani. Le facoltà che rendono possibile la conoscenza unitiva della
realtà sono le stesse che inducono gli essere umani ad abbandonarsi a
quella condotta letteralmente insana e diabolica di cui essi,soli fra
tutti gli animali, sono capaci. La capacità di giungere più in alto
viene acquistata al prezzo della possibilità di cadere più in basso.
Solo un angelo della luce può diventare il Principe delle Tenebre.
Ogni creatura
che vive secondo l’istinto vive in uno stato che può essere definito di
grazia animale. Essa compie non la propria, bensì la volontà di
Dio-nella-Natura.
L’uomo non vive
secondo l’istinto; i suoi modelli di comportamento non sono innati, ma
acquisiti. Egli è libero, all’interno delle restrizioni imposte dalla
società e dalle proprie consuetudini di pensiero, di scegliere il meglio
o il peggio, i mezzi morali ed intellettuali in vista del Fine Ultimo
oppure i mezzi morali ed intellettuali che conducono
all’autodistruzione.
Il progresso
specificamente umano nella felicità, nella virtù e nella creatività può
essere valutato, in ultima analisi, come una condizione del cammino
spirituale verso il Fine Ultimo dell’uomo. Fame, privazione e miseria;
cupidigia, astio, collera e lussuria; stupidità gonfia di pregiudizi e
insensibilità – tutti questi sono ostacoli sulla via del progresso
spirituale. Allo stesso tempo non si dovrebbe dimenticare che se
felicità, virtù e creatività venissero considerate come fini in sé,
invece di mezzi in vista di un Fine ulteriore, esse potrebbero diventare
ostacoli al progresso spirituale non meno seri, a loro modo, dello
squallore, del vizio e del conformismo. L’illuminazione non può essere
raggiunta dalle persone il cui scopo nella vita è quello di
“spassarsela”, dal cultore puritano di una moralità repressiva fine a se
stessa o dall’esteta che vive in funzione della creazione o della
degustazione della bellezza formale. L’idolatria è sempre fatale.
Consideriamo
ora il progresso in relazione alla vita spirituale – in relazione cioè
alla cosciente ricerca del Fine Ultimo dell’uomo. Significativa in
questo contesto è l’osservazione del Buddha per cui chi dice di essere
un arhat per ciò stesso proclama di non essere un arhat.
In altri termini, è fatale vantarsi di un successo o provare
soddisfazione in un’esperienza che, se partecipa genuinamente
dell’illuminazione, è un prodotto della grazia piuttosto che di uno
sforzo personale. Nell’ambito della spiritualità il progresso porta con
sé tanto la contrizione quanto la gioia. L’illuminazione viene
sperimentata come gioia; ma questa sfolgorante beatitudine illumina
tutto ciò che all’interno dell’io, rimane oscurato, dissipando la nostra
usuale cieca compiacenza riguardo a colpe e mancanze, e facendoci
pentire non soltanto di ciò che siamo, ma anche di quell’ineludibile
fatto che è la nostra individualità separata. Nella totale e
ininterrotta illuminazione non vi può essere nulla se non amore, gioia e
pace che sono i frutti dello spirito; fasulla via diretta a quel
compimento la contrizione deve alternarsi all’estasi, e il progresso può
essere misurato dalla natura di ciò di cui ci si pente – peccati,
imperfezioni, e finalmente la nostra esistenza individualizzata.
Accanto al
genuino progresso nell’ambito della spiritualità, esiste un progresso
illusorio attraverso esperienze che si pensa siano apprensioni della
Realtà ultima, ma che di fatto non sono nulla del genere. Simili
esperienze appartengono a due classi fondamentali. Nella prima classe
troviamo quelle esaltazioni emotive indotte dalla devozione che si fissa
su di un’invenzione dell’immaginazione – per esempio l’immagine mentale
di alcune persone divine.
L’estasi delle emozioni suscitate dalla fantasia è interamente diversa dalla conoscenza unitiva del divino Fondamento.
Le esperienze illusorie della seconda classe sono indotte da una forma di autoipnosi.
Questa è una condizione negativa, una assenza di consapevolezza piuttosto che la sua trasfigurazione. Si fugge dal mondo.
In questo falso samadhi non esiste purificazione della percezione; semplicemente si distoglie la percezione, vi è una sua temporanea abolizione.
SURROGATI DELLA LIBERAZIONE
Insomma, essi
anelano a trascendere se stessi, ad oltrepassare quell’universo-isola
entro il quale ogni individuo si trova confinato. Questo desiderio si
autotrascendimento non è identico al desiderio di sfuggire al dolore
fisico o mentale. In molti casi, è vero, il desiderio di sfuggire la
sofferenza rafforza il desiderio di autotrascendimento. Ma quest’ultimo
può esistere anche senza l’altro. Se sperimentiamo il bisogno di
autotrascendimento, è perché, in qualche modo oscuro e a dispetto della
nostra deliberata ignoranza, sappiamo ciò che realmente siamo. Sappiamo
(o, per essere più precisi, qualcosa in noi sa) che il fondamento della
nostra conoscenza individuale è identico al Fondamento di tutta la
conoscenza e dell’intero essere; che l’Atman (l’Intelletto nell’atto di scegliere di assumere il punto di vista temporale) è identico al Brahman (l’Intelletto nella sua eterna essenza).
Il fine ultimo,
lo scopo, la meta della nostra esistenza è far spazio nel “tu” al
“Quello”, è farsi da parte affinché il fondamento possa giungere alla
superficie della nostra coscienza, è “morire” così completamente da
poter dire: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che
vivo, ma Cristo vive in me». Quando l’ego fenomenico trascende se
stesso, l’io essenziale è libero di realizzare, nei termini di una
coscienza finita, il fatto della propria eternità, insieme al fatto
correlativo che ogni particolare nel mondo dell’esperienza partecipa
dell’eterno e dell’infinito. Questa è liberazione, questa è
illumninazione, questa è la visione beatificata, in cui tutte le cose
vengono percepite come sono “in se stesse” e non in relazione ad un io
che brama e aborre.
L’oscura
conoscenza di ciò che realmente siamo spiega il nostro dolore per dover
sembrare ciò che non siamo, e il nostro desiderio spesso appassionato di
oltrepassare i limiti di questo ego che ci imprigiona. L’unico
autotrascendimento autenticamente liberatore avviene nella conoscenza
del fatto primordiale. Ma questo autotrascendimento liberatore è più
facile da descrivere che da conseguire.
L’autotrascendimento
non è affatto invariabilmente verso l’alto. In realtà, nella maggior
parte dei casi, esso è una fuga sia verso il basso in una condizione
inferiore a quella della personalità, oppure orizzontalmente in qualcosa
di più ampio dell’ego, ma non superiore, non essenzialmente altro.
(L’AUTOTRASCENDIMENTO VERSO IL BASSO)
L’alcol non è
che una delle molte droghe impiegate dagli esseri umani come vie di fuga
dall’io isolato. Dei narcotici, stimolanti e stupefacenti naturali non
ne esiste uno, credo, le cui proprietà non siano state conosciute da
tempo immemorabile.
Dal papavero al
curaro, dalla coca andina alla canapa indiana e all’agarico siberiano,
ogni pianta o erba o fungo capace, una volta ingerito, di intorpidire o
eccitare o provocare visioni, sono stati da lungo tempo scoperti e
sistematicamente impiegati.
Ma in un altro
contesto – il contesto dell’insoddisfazione dovuta a se stessi e del
desiderio di autotrascendimento – buono è tutto ciò che in natura può
mutare la qualità della coscienza dell’individuo. Tali mutamenti indotti
dalla droga possono essere manifestamente deteriori, possono avvenire a
prezzo dell’immediato disagio e della futura dipendenza e della futura
dipendenza, degenerazione e morte prematura. Tutto questo è privo di
importanza. Ciò che conta è la consapevolezza, anche s e solo per un’ora
o due, anche se solo per pochi minuti, di essere un altro, o più spesso
qualche cosa d’altro invece dell’io isolato.
L’estasi attraverso l’intossicazione è ancora parte essenziale della religione di molti popoli primitivi.
Nei tempi
moderni la birra e le altre scorciatoie tossiche verso
l’autotrascendimento non sono più ufficialmente venerate come divinità.
La teoria ha subito un mutamento, ma non la pratica; di fatto milioni e
milioni di uomini e donne civili continuano ad offrire le loro devozioni
non allo spirito liberatore, ma all’alcol, all’hashish, all’oppio e ai
suoi derivati, ai barbiturici e alle altre aggiunte sintetiche
all’antichissimo elenco di veleni capaci di provocare
l’autotrascendimento. In ogni caso, senza dubbio, ciò che sembra un dio è
in realtà un demone, ciò che sembra una liberazione è di fatto un
asservimento.
Nella maggior
parte delle comunità civilizzate l’opinione pubblica condanna la
dissolutezza e il ricorso alla droga come contrarie all’etica. E alla
disapprovazione morale vengono aggiunti il disincentivo fiscale e la
repressione legale. L’alcol è pesantemente tassato, la vendita dei
narcotici è proibita dovunque e certe pratiche sessuali sono considerate
alla stregua di crimini.
La terza grande via di autotrascendimento verso il basso è il delirio collettivo.
La loro difesa
contro il delirio collettivo è, in troppi casi, molto meno adeguata.
L’autotrascendimneto discendente nella subumanità attraverso il processo
del radunarsi in folla.
In mezzo a due o
trecento, la presenza divina diventa più problematica. E quando le
cifre salgono a due o tremila, o diecimila, la probabilità che Dio sia
là, nella coscienza di ciascun individuo, declina quasi al punto da
svanire. Poiché tale è la natura delle folle eccitate (ed ogni folla si
eccita automaticamente) che, dove due o tremila persone si trovano
riunite, vi è l’assenza non solo della divinità ma persino della comune
umanità. Il fatto di essere parte di una moltitudine libera un uomo
dalla coscienza di essere un io isolato e lo trascina verso un regno
inferiore a quello della persona, dove non esiste alcuna responsabilità,
non esistono né giusto né sbagliato, né bisogno di riflessione o di
giudizio di discernimento – esiste solo un forte e vago senso di unità,
solo un eccitamento condiviso, un’alienazione collettiva.
Lungi dal
condannare la pratica dell’autotrascendendimento versoi il basso
attraverso l’ebbrezza della massa, i leader di Chiesa e Stato hanno
attivamente incoraggiato questo genere di dissolutezza, ogni qualvolta
poteva essere impiegato per il conseguimento dei loro scopi.
Ammassati in
folle, gli stessi uomini e le stesse donne si comportano come se non
possedessero né ragione né libero arbitrio. L’ebbrezza collettiva li
riduce ad una condizione di irresponsabilità subumana e antisociale.
Drogati del veleno misterioso che ogni folla secerne, essi cadono in uno
stato di elevata suggestionabilità. Mentre sono in questo stato
crederanno a qualsiasi sciocchezza e obbediranno a qualsiasi comando.
Per quanto insensato o criminale.
Ecco perché i
depositari dell’autorità – preti e leader di governo – non hanno mai
inequivocabilmente proclamato l’immoralità di questa forma di
autotrascendimento verso il basso.
L’autotrascendimento
verso il basso per mezzo dell’ebbrezza di massa è trattato come qualche
cosa di legittimo, e addirittura di altamente desiderabile.
Pellegrinaggi e adunate politiche, revival coribantici e parate
patriottiche – queste cose sono eticamente giuste purché siano i nostri revival e le nostre parate.
Stare in una
folla è il migliore antidoto conosciuto al pensiero indipendente. Di qui
la radicata avversione dei dittatori alla “mera psicologia” e alla vita
privata.
Droghe,
sessualità elementare ed ebbrezza di massa – queste sono le tre vie più
popolari dell’autotrascendimento verso il basso. Ne esistono molte
altre: esiste la via, per esempio, del movimento ritmico, così
ampiamente praticato nelle religioni primitive, del suono ritmico;
un’altra ancora è quella del dolore autoinflitto.
Fino a che
punto e in quali circostanze è possibile per un uomo fare uso della
strada discendente come via verso l’autotrascendimento spirituale? A
prima vista parrebbe ovvio che la via discendente non è e non può mai
essere la via verso l’alto. Ma nella vita reale un movimento verso il
basso può costituire l’inizio di un’ascesa. Quando il guscio dell’ego è
stato infranto e comincia ad esservi una coscienza dell’alterità
subliminale e fisiologica sottostante alla personalità, accade talvolta
che si abbia una visione fugace ma apocalittica di quell’altra Alterità
che è il Fondamento di tutto l’essere.
Insomma, la
strada discendente non conduce invariabilmente al disastro. Tuttavia vi
conduce abbastanza spesso, tanto che imboccarla è estremamente
sconsigliabile.
(L’AUTOTRASCENDIMENTO ORIZZONTALE)
Allo scopo di
evadere dagli orrori dell’individualità isolata, la maggioranza degli
uomini e delle donne sceglie, il più delle volte, di non andare né verso
l’alto né verso il basso, ma lateralmente. Essi si identificano con
qualche causa più ampia dei propri immediati interessi,a ma non più
bassa da degradare e, se più alta, più alta solo nell’ambito dei valori
sociali correnti. Questo autotrascendimento orizzontale, o quasi
orizzontale, può avvenire in qualcosa di triviale con un hobby, o
di prezioso come l’amore coniugale. Può essere realizzato attraverso
l’autoidentificazione con qualsiasi attività umana, dalla conduzione di
affari alla ricerca nel campo della fisica nucleare, dal comporre musica
al collezionare francobolli, dalla lotta per una carica politica
all’educazione dei bambini o allo studio delle abitudini di
accoppiamento degli uccelli.
L’autotrascendimento
orizzontale è di estrema importanza. Senza di esso non vi sarebbe arte,
né scienza, né legge, né filosofia, davvero nessuna civiltà. E non vi
sarebbe né guerra, né odium theologicum o ideologicum, né intolleranza sistematica, né persecuzione.
La civiltà
richiede dall’individuo autoidentificazione con la più alta delle cause
umane. Ma se questa autoidentificazione con ciò che è umano non è
accompagnata da un consapevole e costante sforzo per raggiungere
l’autotrascendimento verso l’alto nella vita universale dello spirito, i
beni conseguiti saranno sempre controbilanciati dai mali.
RIFLESSIONI SUL PADRE NOSTRO
La familiarità
non origina necessariamente comprensione. Ciò che è familiare lo diamo
per scontato, e non tentiamo nemmeno di scoprire che cosa sia veramente.
Per milioni di uomini e donne le frasi del Padre nostro sono le formule
verbali più familiari. Sono però ben lungi dall’essere quelle meglio
comprese.
“Padre nostro che sei nei cieli”
Dio è nostro
nel senso che Egli è la fonte universale ed il principio, l’essere di
tutto ciò che è, la vita di tutto ciò che vive, lo spirito di ogni
anima. Egli è presente in tutte le creature; ma non tutte le creature
sono ugualmente consapevoli della Sua presenza.
La natura di
Dio è interamente comprensibile solo a Dio Stesso. Tra le creature, la
conoscenza della natura di Dio aumenta e diviene più adeguata nella
misura in cui chi conosce diviene più simile a Dio.
Lo scopo finale
dell’esistenza dell’uomo consiste nel rendersi capace di comprendere la
presenza di Dio in se stesso e negli altri esseri.
Pensieri e azioni sono buoni quando ci rendono più capaci, moralmente e spiritualmente, di comprendere che Dio è nostro,
immanentemente in ogni anima e trascendentemente quale principio
universale in cui viviamo, ci muoviamo e possediamo il nostro essere.
Sono cattivi quando tendono a rafforzare le barriere che si ergono fra
Dio e le nostre anime, o le anime degli altri esseri.
“Padre nostro che sei nei cieli”
Un padre genera, sostiene ed educa, ama e tuttavia punisce.
Dio, così come
Egli è in Se Stesso, non può essere conosciuto se non da coloro che sono
«perfetti come è perfetto il Padre celeste». Di conseguenza, la natura
intrinseca dell’amore di Dio per il mondo deve rimanere un mistero per
la stragrande maggioranza degli esseri umani.
Qualsiasi
disobbedienza alla volontà di Dio, qualsiasi forma di disprezzo della
natura delle cose, qualsiasi allontanamento delle norme che governano
l’universo della materia, la mente e lo spirito, finiscono col provocare
conseguenze più o meno serie per coloro che sono direttamente o anche
indirettamente coinvolti nella trasgressione. Alcune di queste
indesiderabili conseguenze della disobbedienza sono fisiche, come nel
caso in cui il disprezzo delle leggi della natura o della natura umana
conduce, per esempio,m alla malattia nell’individuo o alla guerra nel
corpo politico. Altre sono morali e spirituali, come quando abiti
mentali e condotta cattivi conducono alla degenerazione del carattere e
all’erezione di insormontabili barriere tra l’anima e Dio.
Allo stesso
modo, solitamente, consideriamo come espressione dell’amore di Dio
quelle desiderabili conseguenze fisiche, morali o spirituali, che
provengono dall’obbedienza alla volontà divina e dal conformarsi alla
natura delle cose. È in questo senso che, per l’”uomo naturale”, Dio è
nostro padre, amorevole e severo ad un tempo. La paternità divina, così
come essa è in sé stessa, non può essere conosciuta da noi fino a che
non ci saremo predisposti alla visione beatifica della realtà divina.
“Padre nostro che sei nei cieli”
È questa la parola chiave dell’invocazione; poiché il fatto ultimo inerente Dio è il fatto del Suo essere.
Che Dio sia, è un fatto che gli uomini possono realmente esperire ed è il più importante fra tutti i fatti che possono essere esperiti.
Tutto quello
che può venir detto di Dio «è incluso in queste parole, vale a dire,
Egli è». Poiché Egli è, noi Lo percepiamo come nostro e come padre. E
poiché Egli è, lo percepiamo anche essente «nei cieli».
“Padre nostro che sei nei cieli”
Dal principio
al termine della preghiera, i cieli vengono contrapposti alla terra come
qualche cosa da essa differente per natura. Lo spirito è il loro luogo
proprio, e in esso è il Regno dei cieli. In altre parole, i cieli stanno
per una diversa e superiore forma di coscienza. Da principio, come ogni
mistico ha insegnato, la forma di coscienza che chiamiamo “cieli” sarà
nostra solo in maniera incostante, durante gli attimi della
contemplazione. Ma ai livelli più elevati di esperienza samsara e nirvana sono uno; il mondo è visto sub specie aeternitatis;
il mistico è capace di vivere ininterrottamente alla presenza di Dio.
Egli continuerà ad agire tra i suoi simili, qui sulla terra; ma il suo
spirito sarà “nei cieli”, poiché è assimilato a Dio.
Sia santificato il Tuo nome
Applicato
all’essere umano, il termine “santità” significa il volontario servizio
l’auto-abbandono al bene più alto e più reale. Ciò che solo deve essere
santificato (e dobbiamo pregare per avere la forza di santificarlo
incessantemente) è il nome di Dio – il Dio che è, ed è quindi
nostro, padre e nei cieli. La frase asserisce che Dio è il bene più alto
e più reale, e che è al servizio di questo unico bene che dovremmo
dedicare le nostre vite.
Venga il tuo regno come in cielo così in terra
Lo scopo
dell’esistenza dell’uomo è quello di impiegare le opportunità che gli si
offrono nella dimensione spazio temporale in modo tale da poter
giungere alla conoscenza della realtà eterna del regno di Dio – o, detto
altrimenti, in modo che egli possa essere idoneo a che la realtà giunga
a manifestazione in ed attraverso Lui. Per i santi contemplativi che
sono “perfetti come è perfetto il Padre loro celeste”, samsara e nirvana
sono uno, il regno di Dio avviene in terra cos’ come è in cielo. Il
fine della vita umana non può essere conseguito mediante gli sforzi
dell’individuo provo di aiuto. Ciò che l’individuo può e deve fare è
rendersi idoneo al contatto con la realtà ed alla ricezione di quella
grazia con il cui ausilio diverrà capace di conseguire il suo vero fine.
Affinché possiamo renderci idonei a Dio, dobbiamo adempiere certe
condizioni, che sono evidenziate nella preghiera. Dobbiamo santificare
il nome di Dio, fare la Sua volontà e perdonare coloro che ci hanno
offeso. Se lo facciamo, saremo liberati dal male dell’egoismo, perdonati
del peccato di isolamento e benedetti con il pane della grazia, la
nostra contemplazione non sarà illusoria e non vani i nostri sforzi di
emendazione.
Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra
Pregare
affinché la volontà di Dio possa essere fatta in terra coime uin cielo,
significa, in altri termini, pregare per l’avvento nel tempo del regno
dell’eternità. Per quel che ci riguarda, “fare la volontà di Dio”
significa fare quanto è necessario per renderci idonei alla grazia
dell’illuminazione. La terra è incommensurabile al cielo, il tempo
all’eternità, l’ego allo spirito. Il regno di Dio può avvenire nella
misura in cui vien meno il regno dell’uomo naturale. Se vogliamo
ottenere la vita dell’unione, dobbiamo perdere la vita della passione,
della curiosità oziosa e delle distrazioni, ovvero la vita ordinaria
degli io umani. È molto facile leggere e scrivere tutto questo,
enormemente difficile è metterlo in pratica. La purificazione è ardua e
dolorosa, ma è la condizione per l’illuminazione e l’unione. Per
converso, un certo grado di illuminazione è una condizione per
l’effettiva purificazione. Al fine di adempiere le funzioni
dell’illuminazione dobbiamo possedere dei barlumi, se non
dell’illuminazione stessa, almeno di un’idea di ciò in cui consiste
l’illuminazione. Dobbiamo compiere la volontà di Dio, affinché il Suo
regno avvenga in noi; e il regno di Dio deve iniziare ad avvenire se
davvero dobbiamo compiere la Sua volontà.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Questa è la
verità proclamata da tutti i grandi maestri spirituali della storia – la
verità per cui illuminazione, liberazione e salvezza, le si chiami come
si vuole, possono giungere solo per coloro che imparano a vivere ora
nella contemplazione della realtà eterna, non più nel passato e nel
futuro dei ricordi e delle abitudini, dei desideri e delle inquietudini
umani. La liberazione non può avvenire fino a che non cessiamo di darci
pensiero per il domani e non viviamo nell’eterno presente. Abbiamo
bisogno della grazia per riuscire a vivere in maniera tale da renderci
adatti a ricevere la grazia.
Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori
Il perdonare è
semplicemente un caso speciale del donare ed il termine può essere
assunto per rappresentare l’intero progetto di vita non egoistica, che è
ad un tempo la condizione ed il risultato dell’illuminazione. Nella
misura in cui perdoneremo, o, in altre parole, nella misura in cui
muteremo il nostro atteggiamento “naturale”, egoistico, verso i nostri
simili, diverremo progressivamente più capaci di santificare il nome di
Dio, di compiere la Sua volontà e cooperare con Lui affinché avvenga il
Suo regno. Inoltre, il pane quotidiano della grazia, senza il quale
nulla può essere conseguito, è donato in proporzione a quanto noi stessi
doniamo e perdoniamo. Se si ama veramente Dio, si deve amare il
prossimo – e il prossimo include anche coloro che ci hanno recato
offesa. Per converso, si deve amare Dio, se si vuole amare veramente il
prossimo.
Esiste una legge del karma; non ci si può burlare di Dio, e come un uomo avrà seminato così raccoglierà.
Le azioni ed i
pensieri buoni producono conseguenze che tendono a neutralizzare o a far
cessare gli esiti dei pensieri cattivi e delle azioni malvagie. Nella
misura in cui rinunciamo alla vita dell’io (e si osservi che, come il
perdono, anche la contrizione e l’umiltà sono casi speciali del donare),
abbandoniamo ciò che i mistici tedeschi chiamavano «l’Io, il me, il
mio», ci rendiamo progressivamente capaci di ricevere la grazia. In
virtù della Grazia ci viene consentito di conoscere più completamente la
realtà, e questa conoscenza della realtà ci aiuta a rinunciare ancora
di più alla vita egocentrica – progredendo in una crescente spirale di
illuminazione e rigenerazione. Nel rendersi idonei a ricevere la grazia
consistono l’effettiva constrizione e l’espiazione; ed il conferimento
della grazia coincide con la divina remissione dei peccati. La persona
illuminata non trasforma semplicemente se stessa, ma fino a un certo
grado il mondo attorno ad essa. Pertanto è loro possibile modificare per
il meglio i destini che si svolgono attorno ad essi, infondendo negli
artefici di qusti destini il desiderio e la capacità di donare, così che
essi possano rendersi idonei a ricevere la grazia che li trasformerà,
salvandoli in tal modo dal fato che andavano preparandosi.
Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male; poiché tuo è il regno, tua la potenza e la gloria
Il male
consiste nel dimenticare che il regno, la potenza e la gloria sono di
Dio, e nell’agire sulla base dell’insana e criminale credenza che essi
ci appartengano. Fino a che rimaniamo individui comuni, sensuali e non
rigenerati saremo costantemente indotti a pensare ciò che esclude Dio e a
compiere azioni che lo eclissano. Né tali tentazioni cessano non appena
si sia imboccato il sentiero dell’illuminazione. In realtà accade che,
ad ogni progresso conseguito, le tentazioni divengono più sottili, meno
grossolane ed evidenti, più profondamente pericolose. È solo a chi è
perfettamente illuminato e completamente liberato che le tentazioni non
si presentano del tutto. Le espressioni finali della preghiera
ri-affermano il suo tema dominante, centrale, ovvero che Dio è tutto e
l’uomo, in quanto uomo, è nulla.
DISTRAZIONI
Solo l’anima
purificata può realizzare l’identità col Brahman; ovvero, mutando il
vocabolario religioso, l’unione con Dio non può mai essere conseguita
dal Vecchio Adamo, che deve perdere la vita della volontà personale al
fine di ottenere la vita della volontà divina. Questi principi sono
stati accettati come fondamentali ed assiomatici da tutti i mistici, di
qualsiasi paese fede e tempo.
Si scopre che
il regno personale che deve cessare, perché possa giungere il regno
divino, è costituito principalmente di due grandi province, passioni e distrazioni.
I contemplativi
hanno paragonato le distrazioni alla polvere, a sciami di mosche, ai
movimenti di una scimmia punta da uno scorpione. Le loro metafore
richiamano sempre l’immagine di un’agitazione priva di scopo. Ed è
precisamente questo l’aspetto interessante e significativo delle
distrazioni. Fa parte della loro essenza l’essere irrilevanti e senza
scopo. Le idiozie espresse in parole, le affermazioni non pertinenti,
tutte le espressioni, in realtà, che non servono il fine
dell’illuminazione, debbono essere classificate come impedimenti,
barriere tra l’anima e la realtà ultima. Possono sembrare abbastanza
innocue, ma questa innocuità vale solo in relazione alle cose mondane;
rispetto ai fini spirituali ed eterni, sono estremamente dannose.
Giudicate attraverso ordinari standard umani, esse possono apparire di
nessun conto. E tuttavia, prese in se stesse, come sono in relazione
alla luce di Dio, queste imperfezioni apparentemente insignificanti
mostrano di disporre sull’anima di un potere maligno non inferiore a
quello dell’ira, di un’abietta bramosia o di qualche ossessivo timore.
L’INANIMATO VIVE
Lo spettacolo
di un animale morente ci colpisce dolorosamente; noi lo vediamo lottare e
simpateticamente proviamo parte della sua sofferenza. L’agonia
invisibile di una pianta ci lascia indifferenti. Ad un essere che avesse
degli occhi un milione di volte più acuti dei nostri, anche quella
morte diverrebbe visibile e perciò angosiciante. Gli ultimi istanti
rassomigliano in maniera così angosciosa alla morte di un uomo che
rimandiamo scioccati dal rivelarsi di quel nuovo spettacolo, al punto di
provare una simpatia finora sconosciuta.
Le ricerche
condotte da Bose sui metalli – ricerche che mostrano come i metalli
rispondano agli stimoli, siano soggetti alla stanchezza e reagiscano ai
veleni in maniera simile agli organismi viventi vegetali e animali –
hanno privato i coscienziosi osservatori della ahimsa della loro
ultima speranza. Essi debbono diventare cannibali per la semplice
ragione che ogni cosa vive, anche l’“inanimato”. Bose ha mostrato che
così avviene. Essa reagisce agli stimoli, patisce la stanchezza e può
essere uccisa.
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