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Ora vediamo come G. C. Giacobbe prende una sega mentale, la smonta e ne analizza
le caratteristiche intrinseche.
Se chiedi a uno che si fa le seghe mentali se è felice, ti risponderà di no, che è immensamente infelice, che soffre. E di fatto il male che soffriamo è raramente fisico, è quasi sempre mentale. Ed è dovuto alle seghe. Alle seghe mentali, voglio dire.
Le seghe mentali quindi fanno male. Danno sofferenza.
... cos'è la sofferenza?
Fisiologicamente, la sofferenza, sia fisica che mentale, consiste in uno stato di contrazione muscolare in qualche parte del nostro corpo.
La contrazione muscolare è provocata da uno stato di tensione elettrica, che è comunicato alle cellule muscolari dalle cellule nervose che sono nel cervello.
È nel cervello, dunque, che si decide se attivare lo stato di contrazione muscolare e quindi di sofferenza.
Ti dirai, ma che razza di stronzaggine è, questo sistema? Perché mi devo fare del male da solo/a?
Figlio/a mio/a, 1'avrai capito che a questo mondo non ti danno niente per niente.
Mettiti nei panni del Creatore.
Devi inventare una cosa che faccia fare una cosa a una cosa quando succede una cosa.
Forse ho un po' incasinato.
Mi spiego meglio.
Se tu hai fabbricato un fesso che si fa mangiare dalla prima tigre che passa di lì, cosa succede?
Fine della creazione dell'Uomo e tu come Creatore ci fai una figura di cacca.
Figlio/a mio/a, 1'avrai capito che a questo mondo non ti danno niente per niente.
Mettiti nei panni del Creatore.
Devi inventare una cosa che faccia fare una cosa a una cosa quando succede una cosa.
Forse ho un po' incasinato.
Mi spiego meglio.
Se tu hai fabbricato un fesso che si fa mangiare dalla prima tigre che passa di lì, cosa succede?
Fine della creazione dell'Uomo e tu come Creatore ci fai una figura di cacca.
Quindi devi inventare un sistema che impedisca al fesso di farsi mangiare non soltanto dalla prima tigre che passa di lì ma neppure dalla seconda e possibilmente neppure dalla terza (alla quarta non ci puoi fare più niente perché vuol dire che il fesso, nonostante tutti i tuoi accorgimenti, si è andato a mettere proprio in una fottuta tana di tigri).
Ma come devi farlo, questo sistema, per costringere il fesso a scappare?
Devi farlo in modo che infligga al fesso un tale disagio a stare fermo a farsi mangiare dalla tigre, da convincerlo a fare qualcosa: o a protestare in modo talmente vivace da convincere la tigre a rinunciare al suo pasto (cosa difficile, perché le tigri quando si mettono a tavola non vogliono essere disturbate da nessuno: quindi, sarà da maleducati ma l'unico modo è farle fuori), oppure a portare via le trippe.
La sofferenza come disagio va benissimo ed è adattissima a convincere anche un fesso come quello, a fare qualcosa: soprattutto a portare via le trippe.
Il fesso chiama questa sofferenza paura.
Un suo parente più raffinato la chiama più appropriatamente tensione: è proprio la tensione elettrica di cui ti dicevo prima.
Ma come devi farlo, questo sistema, per costringere il fesso a scappare?
Devi farlo in modo che infligga al fesso un tale disagio a stare fermo a farsi mangiare dalla tigre, da convincerlo a fare qualcosa: o a protestare in modo talmente vivace da convincere la tigre a rinunciare al suo pasto (cosa difficile, perché le tigri quando si mettono a tavola non vogliono essere disturbate da nessuno: quindi, sarà da maleducati ma l'unico modo è farle fuori), oppure a portare via le trippe.
La sofferenza come disagio va benissimo ed è adattissima a convincere anche un fesso come quello, a fare qualcosa: soprattutto a portare via le trippe.
Il fesso chiama questa sofferenza paura.
Un suo parente più raffinato la chiama più appropriatamente tensione: è proprio la tensione elettrica di cui ti dicevo prima.
Lo stato di tensione elettrica cellulare deriva dunque dall'attivazione del nostro sistema d'allarme naturale, che ha lo scopo di assicurarci la sopravvivenza e quindi entra in funzione ogni volta che a noi sembra di ravvisare un pericolo per la nostra incolumità.
Quando venivamo aggrediti dalla tigre dai denti a sciabola, diverse migliaia di anni fa, il nostro sistema d'allarme andava benissimo per il suo scopo: ci faceva correre come razzi. Eravamo tutti primatisti sui cento, duecento e trecento metri (qualcuno anche sul chilometro).
Ma adesso?
Adesso non è cambiato niente: continuiamo a essere tutti primatisti sui cento, duecento e trecento metri (qualcuno anche sul chilometro) con la differenza che non c'è più nessuna tigre dai denti a sciabola a inseguirci.
Oggi non ci insegue più nessuno, a meno che non abbiamo svaligiato una banca senza avere avuto la furbizia di fare perdere le nostre tracce.
E allora perché corriamo continuamente come se fossimo inseguiti dalla tigre dai denti a sciabola, dal leone, dalla pantera, dal leopardo, dal puma, dall'orso, ecc. ecc?
Perché quello che fa scattare in noi l'allarme, non è la tigre, il leone, la pantera, ecc, ma il nostro cervello.
È il nostro cervello che decide, insindacabilmente, cosa costituisce un pericolo per noi. Ho detto infatti più sopra « quello che a noi sembra un pericolo ».
A volte il nostro cervello decide che non vi è nessun pericolo in cose pericolosissime e vede pericoli mortali in cose assolutamente innocue.
L'elenco degli animali pericolosi per l'uomo in epoca preistorica fa ridere al confronto dei pericoli che il nostro pensiero è in grado di creare oggi.
Nessuno ha mai scritto nessun trattato né in quattro né in quattromila volumi, sull'argomento.
Perché i pericoli inventati dal nostro pensiero sono praticamente infiniti.
Alcuni appartengono al mondo che ci circonda: il collega che sta cercando di farci le scarpe (pur non essendo un calzolaio); l'amico che sta cercando di farci la moglie (pur non essendo il conduttore di un'agenzia matrimoniale); il marito che sta Cercando di farci l'amica (pur non soffrendo noi di solitudine); il Fisco che sta cercando di metterci in mutande (pur non essendo noi dei calciatori); e così via. Altri sono attinenti al nostro Io corporeo: «Oddio, mi prenderò l'aids!», «Sono troppo grasso/a!», «Con tutti questi brufoli faccio schifo!», «Sono sicuro/a che ho un cancro! » ecc. ecc; o ideale: «Sono nato/a sfortunato/a», «Nessuno mi vuole bene!», «Sono uno/a stronzo/a!», « Finirò solo/a e abbandonato/a da tutti » ecc. ecc.
Il pensiero è dunque la causa principale della nostra sofferenza, l'essenza stessa della sega mentale.
Vediamo allora di affrontarlo con coraggio e di guardarlo nel bianco degli occhi sorridendogli, mentre in tasca nascondiamo un bisturi e un microscopio (oltre a una 357 magnum con il colpo in canna).
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